Tra Obama e Romney, per chi tifa Wall Street? Quali saranno le conseguenze sul mercato azionario? E come si comporterà quest’ultimo nei prossimi 10 anni?
Come reagirà il mercato di fronte a una vittoria di Obama?
Romney o Obama? Se l’impressione è che Wall Street prediliga Romney, la realtà sembra essere un’altra: almeno a quanto riporta la società di ricerca Rcube, che attraverso un grafico dimostra l’andamento dell’indice azionario S&P500 in base a una vittoria di Romney o Obama. Il grafico risulta piuttosto chiaro: qualora Obama dovesse vincere, il trend sarà rialzista. Qualora invece Obama dovesse perdere, l’indice mostra un trend ribassista.
Le motivazioni alla base di questo grafico sono naturalmente a livello congetturale e molto probabilmente non tengono conto di un fattore: la guerra costante e continua tra il Congresso e la Presidenza. Se il primo sarà rappresentato da un colore e il secondo da un altro, infatti, quello che andrà a ripetersi nei prossimi anni sarà un’altalena di turbolenze, quella stessa altalena che ha contraddistinto gli ultimi 4 anni di governo Obama. Senza considerare il pericolo del Fiscal Cliff, che porterebbe gli Stati Uniti a una nuova recessione.
Obama o Romney? Per Wall Street è indifferente
È prevalentemente questo a pesare su Wall Street, come rivela il Wall Street Journal, classificando le diverse cause che influiranno sul mercato azionario statunitense nei prossimi anni: l’economia del 2013 sarà caratterizzata da bassa crescita, livello di disoccupazione elevato e ingente quantità di debito, per non contare il Pil, destinato a diminuire al 2,1%.
Lo stesso scenario potrebbe verificarsi nel 2016, quando gli americani saranno chiamati a rieleggere il nuovo Presidente: in un clima come quello appena descritto e una recessione che allunga la propria ombra sui risparmi americani, Wall Street andrebbe a perdere un altro 20% di capitale di previdenza dopo quello già perso tra il 2000 e il 2010, calo abbattutosi su circa 95 milioni di investitori. L’oscillamento del Dow Jones, in questo periodo, è stato tra 6.470 e 14.164 e tutto lascia presupporre che sarà così anche nei prossimi anni.
La guerra tra Presidenza e Congresso resterà invariata, e non è un caso se pochi giorni fa Obama lo abbia strigliato, accusandolo di non aver sveltito le procedure relative all’approvazione dei progetti riguardo l’economia e il lavoro. “Tutti questi progetti sono rimasti in attesa per mesi e il popolo americano vuole vederli approvati”, ha dichiarato Obama. “Ma sembra che alcuni membri del Congresso siano più interessati al loro lavoro e alla loro busta paga in questa campagna elettorale piuttosto che ai vostri affari”. Si preannunciano tempi duri per gli americani, con una politica sempre in fase di guerra (o di stallo) e l’economia a risentirne.
Inoltre negli ultimi tempi Wall Street è diventata più selvaggia, inutile negarlo: le regole sembrano andate a farsi benedire, mentre i salvataggi sono all’ordine del giorno, andando così a produrre un livello di tossicità e dipendenza quasi mortale. Wall Street “è priva di coscienza morale” e l’unica soluzione sarebbe un remake del crack del 1929.
La democrazia, sotto questo aspetto, sembra dunque aver lasciato il posto a un’anarchia capitalista e atrocemente selvaggia, che non dà segni di rallentamento o cedimento. Marc Faber ha dunque ragione quando afferma che la politica monetaria della Federal Reserve distruggerà il mondo. A ciò si aggiungono le parole di Joseph Stiglitz, autore del libro “The price of Inequality”: il gap tra ricchi e poveri e il divario sempre in aumento tra le opportunità degli uni e degli altri non farà altro che far precipitare gli Stati Uniti in una costante mancanza di prospettive, soprattutto in termini di crescita economica e sociale.
La pericolosità del mercato azionario e del mondo degli investimenti posa le sue radici sull’amministrazione Bush e specialmente sul pretesto iniziato per dare il via alla guerra in Afghanistan e in Iraq, portando di conseguenza a uno scontro di civiltà con forti ripercussioni economiche, politiche e sociali e ingenti investimenti per ciò che concerne il reparto di difesa americano.
Il precipizio (altro che scogliera!) economico è all’orizzonte, escludendo i quasi 30 mila miliardi di dollari di debito. Le decisioni severe vengono sempre prese troppo tardi, quando si è in emergenza, ma il bailout, un giorno, avrà fine. Questa fase apparente di quiete crea una spirale chilometrica, un pozzo di cui è difficile vedere il fondo, anche quando dentro ci si è caduti da un bel po’.
Il futuro, prevede Paul B. Farrell del Wall Street Journal, è altamente fosco: Wall Street è un cavallo perdente, Obama e Romney non sono i nuovi Messia che salveranno il mondo e, soprattutto, là fuori andrà sempre peggio.
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