Tornano i falchi alla BCE?

Roberto Donzelli

12 Febbraio 2022 - 18:00

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Anche in seno alla BCE iniziano a farsi più forti le voci di chi vorrebbe una politica meno accomodante. Chi prevarrà nell’immediato?

Tornano i falchi alla BCE?

Che l’inflazione sia un po’ il «tema dell’anno» non ci piove. Ormai da mesi siamo bombardati su TV, quotidiani e fonti Web da temi quali i rincari delle bollette, della benzina e del costo della vita in generale.

In effetti, l’aumento dell’inflazione si fa sentire eccome! Non sono solo i media a parlarne, ce ne rendiamo conto sempre di più anche nella vita di tutti i giorni.

Normalmente, un’inflazione in crescita porta con sé anche un aumento dei rendimenti. Questo, però, fino ad ora non è avvenuto. O quantomeno, l’aumento dei tassi non è stato particolarmente forte.

L’azione della BCE è la principale motivazione di questo andamento differenziato tra inflazione e tassi: vediamo come funziona.

Inflazione e tassi «dovrebbero» andare a braccetto

Nell’ultima rilevazione, l’indice HICP Inflazione Europa ha raggiunto il 4,96% su base annua. In Italia, l’ultimo tasso di inflazione registrato è pari al 4,15%.

Passiamo ora al mercato obbligazionario. Un decennale tedesco attualmente rende lo 0,26%. Un decennale italiano (BTP) rende l’1,91%.

Da un punto di vista teorico, ma la cosa ha anche grande valenza pratica, i titoli di stato dovrebbero offrire un rendimento superiore all’inflazione: chi compra un titolo di stato rinuncia infatti ad un consumo attuale a fronte della possibilità di un maggiore consumo futuro grazie all’incasso degli interessi.

Tuttavia, se i tassi di interesse sono inferiori all’inflazione, si rinuncia ad un consumo immediato a fronte di un consumo minore in futuro. Se gli interessi percepiti non compensano la svalutazione della moneta, il risultato è un potere d’acquisto minore in futuro.

Si tratta del fenomeno dei «tassi reali negativi». In Italia, per esempio, a fronte di un rendimento dell’1,91% circa abbiamo una perdita di potere d’acquisto (inflazione) del 4,15%. Questo vuol dire che dal punto di vista reale un investitore perde ogni anno il 2,24%.

Perché possiamo avere tassi reali negativi?

Si tratta di una situazione anomala: nella storia i periodi di tassi reali negativi non sono così frequenti, ma attualmente veniamo da un periodo di tassi reali negativi insolitamente lungo.

Per quanto riguarda le motivazioni, la principale è che si ritiene l’inflazione temporanea. Per vari motivi, le aspettative degli investitori sono per un tasso di crescita dei prezzi che progressivamente rientrerà «nei ranghi» e sotto il livello dei tassi nominali dei bond. Questo perché si prevede una prossima recessione oppure perché le cause dell’alta inflazione sono ritenute temporanee.

Nel caso attuale, però, i tassi reali negativi dipendono principalmente dalla «manipolazione» da parte della BCE del mercato dei bond durante il periodo Covid.

Il termine «manipolazione» non deve comunque essere inteso con accezione negativa: la BCE non ha fatto nulla «sotto banco». Anzi, ha sempre e pubblicamente dichiarato il suo piano di acquisto bond e le facilitazioni monetarie per impedire che lo shock del Covid potesse innescare una crisi economica peggiore di quanto accaduto. La BCE ha operato per garantire un’ordinato funzionamento del sistema monetario, bancario e finanziario europeo.

Detto questo, comunque, Francoforte ha operato sul mercato, comprando bond in grande quantità e generando così una domanda aggiuntiva di obbligazioni che ha contribuito a tenere alti i prezzi e bassi i rendimenti. Senza l’azione della BCE, probabilmente avremo avuto tassi ben diversi nel 2020 e nel 2021.

Cambio di rotta della BCE?

Pubblicamente, la BCE ha considerato l’inflazione attuale come temporanea. Inoltre, la Lagarde ha precisato più volte di non voler anticipare troppo il ritiro degli stimoli monetari e il rialzo dei tassi per non strozzare prematuramente una crescita economica piuttosto interessante per gli standard europei degli ultimi anni.

Recentemente però il vento è cambiato e se le dichiarazione del Governatore Lagarde restano ancora in linea con le precedenti, in seno alla BCE iniziano a farsi più forti le opinioni contrarie.

Varie dichiarazioni iniziano a paventare l’ipotesi che il piano di stimoli venga ritirato più velocemente e che un primo rialzo dei tassi possa arrivare già nel 2022. E chissà, forse anche più di un rialzo.

In Germania a fronte di un rendimento del Bund pari allo 0,26%, l’inflazione registrata nell’ultima rilevazione ha raggiunto il 5,70%. Per un Paese storicamente avverso all’inflazione inizia ad essere una situazione difficile da digerire.

L’Olanda, altro Paese che storicamente non ama certo un’inflazione troppo alta ed è sempre molto conservativo nella gestione economica e monetaria, tanto da essere più rigorista della stessa Germania, si confronta attualmente con un’inflazione addirittura del 6,41%, a fronte di un decennale che rende lo 0,45%.

Insomma, in questi Paesi i tassi reali negativi sono molto peggiori dei Paesi mediterranei. Ed è proprio da questi Paesi che iniziano ad arrivare richieste di una politica monetaria meno espansiva.

Le conseguenze di una stretta anticipata

Queste opinioni prevarranno in BCE? Difficile da dire. Però non c’è dubbio che il rialzo dei prezzi inizi a preoccupare. Per ora è un rialzo legato soprattutto a materie prime ed import, ma se i rincari si trasferiranno ai salari c’è il rischio di rivivere nuovamente gli anni ’70.

E’ quindi probabile che le richieste di un’azione più incisiva nella lotta all’inflazione si moltiplicheranno nei prossimi mesi. Purtroppo, i primi a rimetterci saremo probabilmente noi, che siamo tra i Paesi europei con il debito più alto, ma in generale dovranno fare attenzione tutti gli investitori obbligazionari.

Anche gli investitori più «anziani» nella loro carriera si sono infatti confrontati per lo più con un ambiente di tassi in ribasso. Dai primi anni ’80 ad oggi contiamo quasi 40 anni di «Bull Market» obbligazionario. Pochi erano già sul mercato negli anni ’70 quando i tassi segnarono un rapido rialzo. Per trovare le scelte di investimento migliori in un ambiente ostile come quello dei rendimenti in aumento, probabilmente si dovrà andare indietro nel tempo e vedere cosa funzionò meglio proprio in quel decennio.

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