Studi di settore: cosa si intendeva con questa espressione? Calcolo e applicazione di tali strumenti di controllo fiscale.
Gli studi di settore sono stati uno strumento utilizzato in Italia dall’Agenzia delle Entrate per stimare i ricavi o i compensi presunti di imprese e lavoratori autonomi in base a caratteristiche specifiche dell’attività svolta.
Ormai sostituiti da ISA (Indici Sintetici di Affidabilità fiscale) a partire dal 2018, risulta per molti ancora utile conoscerli per comprendere il contesto fiscale recente.
In sostanza, si trattava di modelli statistico-economici sviluppati per analizzare il comportamento economico dei contribuenti, verificare la coerenza tra i ricavi dichiarati e quelli che ci si aspetta da un’attività simile per dimensioni, settore, zona e prevenire e contrastare l’evasione fiscale.
Tuttavia, gli studi di settore sono stati criticati per rigidità e scarsa aderenza alla realtà di alcuni settori e percepiti nel tempo più come strumento “punitivo” che come incentivo alla correttezza fiscale.
Per questo, sono stati sostituiti dagli ISA (Indici Sintetici di Affidabilità fiscale), che valutano il comportamento fiscale su una scala da 1 a 10, premiando i contribuenti affidabili con meno controlli e più agevolazioni.
Vista la loro lunga presenza nella contabilizzazione fiscale, sapere cosa si intendeva per studi di settore è ancora pertinente.
Cosa sono gli studi di settore, significato e definizione
Per “studi di settore” si intende uno strumento di accertamento fiscale usato in Italia per stimare i ricavi o i compensi che un’impresa o un lavoratore autonomo dovrebbe conseguire, in base alle caratteristiche della propria attività.
In parole semplici:
Gli studi di settore servivano a capire quanto normalmente dovrebbe guadagnare una certa attività, considerando dove opera, come è organizzata e cosa fa.
L’obiettivo era valutare congruità e coerenza dei redditi dichiarati dal contribuente rispetto a quelli attesi per il suo tipo di attività.
I riferimenti normativi, aree e cluster
Gli studi di settore sono stati introdotti nell’ordinamento giuridico italiano attraverso il decreto legge 331/1993 convertito nella legge 427/1993.
Erano suddivisi in quattro aree cui corrispondevano i settori principali del sistema economico italiano (tra parentesi i primi due caratteri della serie che consentivano di raccordare ciascun codice delle attività economiche allo studio di settore relativo):
- servizi (TG, UG, VG);
- commercio (TM, UM, VM);
- manifatture (UD, VD);
- professionisti (TK, UK, VK).
Dal punto di vista procedurale, gli studi di settore dividevano le imprese in gruppi omogenei, i cosiddetti «cluster», in base a una pluralità di fattori quali: l’organizzazione, l’area di mercato, il tipo di clientela, ecc.
Sulla base dei dati derivanti da tale elaborazione, gli studi di settore consentivano l’individuazione di una relazione matematica tra le caratteristiche dell’attività e il livello presunto di ricavi o compensi.
Studi di settore: soggetti obbligati
Gli studi di settore si applicavano ai soggetti che svolgevano attività imprenditoriali, artistiche e professionali ovvero imprenditori e lavoratori autonomi.
L’Agenzia delle Entrate precisa in modo meno meticoloso che gli Isa si applicano invece a «esercenti attività di impresa o lavoro autonomo». Gli Isa non si applicano a soggetti che si trovano in particolari condizioni, ad esempio i contribuenti che hanno iniziato l’attività nell’anno di imposta, coloro che non si trovano in condizioni normali di attività.
Non si applicano inoltre a coloro che hanno optato per il regime forfettario, agli enti del terzo settore (tra cui associazioni di volontariato) non commerciali che esercitano attività commerciale in forma non prevalente e applicano il regime forfettario, imprese sociali, società cooperative, consorzi e società consortili che svolgono attività prevalente in favore di soci e associati.
I questionari sugli studi di settore dovevano essere compilati contestualmente alla dichiarazione dei redditi, lo stesso principio vale per gli Indici Sintetici di Affidabilità.
Gli studi di settore permettevano di indicare:
- cluster di appartenenza;
- congruità e coerenza;
- ricavi o compensi presunti previsti dagli studi di settore.
Studi di settore: gli adempimenti principali per imprese e professionisti
Ecco i tre adempimenti principali che imprese e lavoratori autonomi dovevano effettuare in materia di studi di settore:
- individuare il proprio cluster di appartenenza;
- indicare se i ricavi o compensi dichiarati erano «congrui», ovvero rientravano nel cosiddetto «intervallo di confidenza parametrale»;
- individuare la «coerenza», ovvero l’appartenenza degli indicatori economici rilevanti il range di valori assunti come normali per il cluster cui l’impresa appartiene.
Con gli Isa il cluster di appartenenza viene determinato tramite il codice Ateco della propria attività. Una volta individuato, i contribuenti devono compilare i moduli. Gli Indici Sintetici di Affidabilità sono aggiornati di anno in anno.
Nell’ultima comunicazione dell’Agenzia delle Entrate relativa ai redditi maturati nel 2021 sono stati inseriti 88 nuovi Isa, per un totale di 175.
Con gli studi di settore, qualora l’Agenzia delle Entrate avesse riscontrato dei redditi dichiarati non corrispondenti alle risultanze degli studi di settore, si attivava il contraddittorio obbligatorio con il contribuente.
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Da questo punto di vista, è importante sottolineare come il legislatore fiscale avesse esplicitamente escluso che l’Agenzia delle Entrate potesse procedere con accertamenti di tipo automatico, basati esclusivamente sull’applicazione degli studi di settore.
Al contribuente veniva data la possibilità di adeguarsi agli studi di settore, ovvero indicare in dichiarazione i maggiori ricavi risultanti dagli studi (rispetto alla dichiarazione dei redditi) e pagare una maggiorazione del 3%.
Perché gli studi di settore sono stati aboliti e cosa sono gli ISA
Gli studi di settore hanno generato numerose critiche da parte di professionisti e imprese.
Il punto fondamentale è sempre stato la non aderenza dei criteri di calcolo adottati rispetto al sistema economico italiano. Inoltre, trattavano in modo simile imprese e professionisti molto diversi tra loro, senza valutare adeguatamente le differenze soggettive ed erano visti dai contribuenti come uno strumento di accertamento e pressione fiscale, più che come un incentivo al rispetto delle regole.
Un contribuente “non congruo” rischiava accertamenti anche se in buona fede.
L’effettiva abolizione degli stessi c’è stata nel 2019, con la sostituzione con gli Isa, Indici Sintetici di Affidabilità, disciplinati dal decreto legge 50 del 2017 così come convertito dalla legge 21 giugno 2017, a partire dall’anno di imposta 2018 e quindi dalle dichiarazioni rese nel 2019.
Anche in questo caso si rende necessaria la compilazione di un questionario. Lo stesso viene individuato in base alla tipologia di attività economica che viene svolta. Una volta compilato il questionario si ottiene un punteggio da 1 a 10, coloro che hanno un punteggio superiore a 8 sono ritenuti soggetti affidabili e di conseguenza ottengono una serie di benefici, tra cui l’esonero dall’obbligo di apporre il visto di conformità per i crediti di imposta maturati fino a importi di 50.000 €.
Coloro che, invece, dopo aver compilato i questionari Isa, ottengono un punteggio inferiore o pari a 6 sono con elevata probabilità sottoposti a controlli fiscali. Non partono quindi immediatamente le sanzioni, ma si procede a verifiche ulteriori.
Rispetto agli studi di settore, il meccanismo premiale cambia. Per gli studi di settore era previsto l’adeguamento, che consentiva ai contribuenti di alzare la propria soglia di ricavi o compensi risultante dalla contabilità ufficiale per renderla congrua e coerente rispetto a quanto risultante dal risultato degli studi di settore medesimi.
Per i contribuenti che adeguavano la propria dichiarazione dei redditi agli studi di settore, era prevista una maggiorazione dei versamenti pari al 3% della differenza tra i ricavi (o compensi) derivanti dall’applicazione degli studi di settore e quelli ufficiali risultanti dalla contabilità.
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