Stefania Gabriele su sanità: se non si interrompono le politiche di austerità, le prospettive sono pessime

Erika Di Dio

8 Febbraio 2013 - 16:33

Stefania Gabriele su sanità: se non si interrompono le politiche di austerità, le prospettive sono pessime

Forexinfo intervista Stefania Gabriele, dirigente di ricerca ISSiRFA presso il CNR di Roma. Si è occupata di distribuzione del reddito, mobilità sociale, economia sanitaria, politiche sociali e finanza pubblica, oltre ad essere stata consulente del Servizio Bilancio dello Stato (Camera dei Deputati).

Lo scorso Ottobre, abbiamo pubblicato il suo contributo presente all’interno dell’ebook "Oltre l’austerità", dal titolo Politiche recessive e servizi universali: il caso della sanità.

A tal proposito, abbiamo realizzato la seguente intervista.

1) Grazie ai grafici da Lei presentati nel contributo “Politiche recessive e servizi universali: il caso della sanità” si evince come nel nostro paese, la spesa sia pubblica sia totale sia ben inferiore rispetto a quella di paesi come la Germania, la Francia e anche il Regno Unito, quindi più in generale che la spesa sanitaria totale italiana è ben al di sotto della media Ocse. Lei quali pensa siano i fattori alla base del malfunzionamento di questo settore e della “cattiva” allocazione delle risorse per la sanità in Italia?

R. La spesa sanitaria infatti, sia pubblica, sia totale, in Italia non è elevata, collocandosi vicino alla media OCSE, e su livelli inferiori rispetto ai principali paesi europei. Inoltre, sulla base dei dati disponibili, i risultati complessivi del SSN appaiono molto buoni (Mapelli, 2012). Tuttavia molti italiani hanno avuto pessime esperienze con la sanità. Questo dipende dal fatto che vi sono differenze enormi tra regioni, tra ospedali, tra reparti di uno stesso ospedale. Inoltre spesso (certo non sempre) vengono trascurati gli aspetti relativi al rapporto medico-paziente (e medico-infermiere), alle condizioni del ricovero, all’informazione. Infine, il generale spostamento delle cure dall’ospedale al territorio, un processo in corso in molti paesi, qui sta avvenendo sotto la pressione dei tagli di spesa, senza essere accompagnato da un vero rafforzamento dei servizi territoriali. Così il paziente si sente (e a volte è) lasciato a se stesso quando esce dall’ospedale, con i punti in corpo e un’idea poco chiara di cosa debba fare in caso di problemi. Una migliore allocazione richiederebbe che si cominciasse con il miglioramento dei servizi territoriali: il cosiddetto “medico di famiglia” dovrebbe diventare il fulcro di un servizio in funzione 24 ore al giorno, e si dovrebbero assicurare una serie di prestazioni medico-infermieristiche presso l’abitazione del paziente. Inoltre, si deve combattere la corruzione che purtroppo dilaga nel nostro Paese, e bloccare le mire della criminalità organizzata, soprattutto in alcune regioni. Anche le lobby dell’ “industria della salute” devono essere tenute sotto controllo, perché in tutti i paesi tendono ad essere molto, troppo potenti. Infine, il fatto che le regioni in deficit siano generalmente quelle che hanno maggiori difficoltà a garantire i livelli essenziali di assistenza, cioè le prestazioni cui tutti i cittadini hanno diritto sul territorio nazionale, indica chiaramente che vi sono sprechi da tagliare, ma anche che le risorse recuperate devono essere reinvestite nella sanità, in quei servizi che oggi sono più carenti.

2) Il professor Bagnai ha citato il suo contributo di cui sopra, parlando del tema della sanità in Italia e rimandando inoltre alle parole dette da Monti in un’intervista pubblicata su Repubblica il 27 Novembre scorso, in cui il premier dichiarava che “Il nostro sistema sanitario nazionale, di cui andiamo fieri, potrebbe non essere garantito se non si individuano nuove modalità di finanziamento”. Pronta la risposta di Bagnai “Il valvassino vuole vendere il nostro paese pezzo per pezzo. E la sanità privatizza offre ghiotte opportunità per i capitali esteri”. Esiste davvero quindi la concreta possibilità che la sanità nazionale del nostro paese diventi privata, come lo è ad esempio negli Stati Uniti?

R. Non è chiaro a quali analisi scientifiche il Presidente del Consiglio si riferisse con quelle affermazioni, che in un comunicato stampa della Presidenza del Consiglio vengono collegate in particolare ad una preoccupazione sull’aumento futuro di spesa legato all’invecchiamento. Tutta la letteratura degli ultimi 20/30 anni mostra che l’allarme sulla sostenibilità di lungo periodo dei sistemi sanitari per l’invecchiamento va ridimensionato. Nel 1999 Zweifel, Felder e Meier, studiosi dell’Università di Zurigo, parlavano dell’invecchiamento come di un “red herring”, letteralmente un’aringa rossa, metaforicamente una falsa pista. Per semplificare molto, possiamo dire che è difficile immaginare che tutti gli anni di vita guadagnati siano trascorsi in cattiva salute, ipotesi necessaria a giustificare l’allarme. Bisognerebbe capire che l’invecchiamento è un’opportunità, non un guaio. Il fatto paradossale è che le proiezioni della Ragioneria Generale dello Stato, che Monti dovrebbe ben conoscere e apprezzare, mostrano un effetto di aumento della spesa sanitaria per l’invecchiamento molto limitato. Che da molto tempo, e non solo in Italia, alcune grida di allarme siano servite a promuovere gli aumenti di spesa richiesti dall’“industria della salute” (non dai bisogni della popolazione), sollecitando un afflusso di risorse superiore a quello che il settore pubblico può ragionevolmente allocare alla sanità, è stato osservato da molti studiosi. Spero proprio che i cittadini sapranno rintuzzare gli attacchi al SSN ed opporsi alla deriva verso una sanità privata, perché questa è più costosa e meno equa, come mostra l’esempio degli Stati Uniti.

3) Secondo Lei, una soluzione al problema potrebbe essere quella di tornare alla mutualità della sanità? Cosa pensa a riguardo?

R. Non sono favorevole al passaggio a sistemi assicurativi e/o mutualistici. Il SSN ha rappresentato un grande passo avanti rispetto al precedente sistema mutualistico, frammentato e non universalistico. I sistemi assicurativi/mutualistici rischiano di lasciare scoperta una parte della popolazione, che deve ricorrere ad una sanità pubblica residuale, la cui qualità tende a peggiorare, perché manca un interesse condiviso a difendere un servizio che sia dedicato solo agli emarginati. Inoltre è difficile regolare questi sistemi perché vi sono asimmetrie di informazione, come ben spiegato in un recente intervento di Granaglia. Inoltre possono essere attuate forme di discriminazione dei pazienti secondo il loro livello di rischio (ad esempio cercando di non assicurare gli anziani o i malati cronici). Anche se le difficoltà potessero essere ridotte attraverso mutue territoriali a carattere universale, i costi amministrativi tenderebbero probabilmente ad aumentare. Le mutue possono fornire pacchetti di prestazioni differenziati, e questo metterebbe in discussione l’uniformità del sistema. Oggi esistono differenze, è vero, ma il fatto che i livelli essenziali di assistenza siano riconosciuti a tutti i cittadini consente almeno la mobilità sanitaria da una regione all’altra, che tra l’altro rappresenta un buon segnale, per le regioni che “esportano” pazienti, dello sforzo necessario per uniformarsi ai livelli nazionali. Inoltre i sistemi mutualistici in genere riducono la libertà di scelta del paziente, perché è la mutua a scegliere l’erogatore della prestazione.

4) Come da Lei sottolineato nel suo contributo, l’aumento del rischio sociale che è molto evidente in Grecia, inizia a mostrarsi con prepotenza anche in Italia, “a seguito della maggiore incertezza, l’aumento della disoccupazione, l’accresciuto numero di fallimenti di imprese, l’introduzione di maggiore flessibilità del lavoro, tagli alla previdenza e all’assistenza, e l’aumento della probabilità di attraversare periodi di vita durante i quali non viene percepito un reddito”. In considerazione di tutto ciò e prendendo in considerazione l’attuale situazione economico-finanziaria in cui versa il nostro paese in questo momento, quali prospettive vede per il futuro sempre in riferimento al settore della sanità nazionale?

R. Se non si interrompono le politiche di austerità le prospettive per il futuro sono pessime. Il SSN sta attraversando da tempo un processo di ristrutturazione e riordino che sta portando buoni frutti, sia dal punto di vista finanziario, sia da quello dell’organizzazione dei servizi, e che ha cominciato a coinvolgere anche le regioni più refrattarie. La Corte dei conti ha riconosciuto che è stata operata in questo settore una vera e propria spending review. Ma i tagli sovrapposti con le manovre di bilancio cadono come mannaie su un settore delicato, e difficilmente potranno essere realizzati soltanto riducendo gli sprechi. Quando si è in emergenza, il tempo stringe, e se le richieste sono pesanti, si tagliano i servizi. Non c’è alcuna ragione economica condivisa per adottare queste politiche, che non riescono nemmeno nel loro obiettivo di ridurre il nostro debito in rapporto al prodotto, perché fanno crollare il prodotto. Se invece si rinuncerà agli ulteriori tagli, già programmati per i prossimi anni (circa 10 miliardi di euro a regime) e si continuerà con gli sforzi attenti e pazienti di lotta agli sprechi e alla corruzione, si potrà migliorare il SSN, renderlo più omogeneo e più equo, e dare una mano all’economia invece di infliggere un altro colpo alla domanda, che è l’unico possibile traino della ripresa.

Accesso completo a tutti gli articoli di Money.it

A partire da
€ 9.90 al mese

Abbonati ora

Iscriviti a Money.it