Stato di emergenza, solo così non verrà prorogato: nuovo ruolo per Figliuolo

Chiara Esposito

12/12/2021

14/11/2022 - 17:33

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Senza una proroga dello stato di emergenza sarà rivisto l’assetto organizzativo del comparto anti Covid. Questa l’ipotesi operativa stilata del Governo.

Stato di emergenza, solo così non verrà prorogato: nuovo ruolo per Figliuolo

Allo studio i possibili scenari in cui non vi sia una proroga dello stato di emergenza.

L’ipotesi più plausibile e maggiormente accreditata vedrebbe lo spostamento della struttura commissariale del generale Figliuolo sotto la Protezione civile per garantire e mantenere i pieni potere del comparto attuale in campo amministrativo e nella gestione dei contratti.

Il premier Draghi vuole infatti avviare la transizione verso uno stato di gestione dell’epidemia a carattere non straordinario. Il cambio di passo è però in contrasto con i numeri del Covid e con alcune questioni di natura giuridica e, ovviamente, politica.

Per tale motivo si sta valutando attentamente la strada da percorre, possibili leggi ad hoc da varate in tempi brevi e soprattutto un piano B di contenimento.

No proroga: come cambierebbe lo scenario

Nel caso in cui tutto andasse secondo i piani stabiliti finora il generale Francesco Figliuolo assumerebbe un nuovo ruolo trovandosi a capo del Comando operativo di vertice interforze (Covi) entro la fine dell’anno. Per non rallentare le operazioni sul campo condotte fino a questo momento e ancora utili a fronteggiare la forte minaccia del Covid infatti ci sarebbe in programma quest’imminente nomina portata avanti e concretizzata grazie una legge ad hoc da varare nelle prossime settimane.

Il dipartimento attualmente guidato da Fabrizio Curcio andrebbe quindi ad ospitare il commissariato emergenziale per garantire una continuità e la totale stabilità dell’architettura gestionale pandemica così come oggi la conosciamo.

Se dal punto di vista legale questa mossa sarebbe quindi pienamente giustificata e funzionale ad autorizzare delle operazioni anche in assenza dello stato di emergenza, sono altri i quesiti che sorgono ed iniziano a far discutere.

Il parere di Draghi e le contraddizioni sostanziali

“Dall’emergenza alla convivenza” così Repubblica, e non solo, definisce la strategia o meglio la filosofia politica che intende adottare Mario Draghi. Il premier come unica dichiarazione pubblica ha proferito infatti la sua intenzione di “chiudere una fase e di aprirne un’altra” o comunque avviare una forma di transizione progressiva.

Draghi in ultima analisi vorrebbe dare un messaggio positivo al paese e infondere probabilmente una forma di speranza a livello di ripresa del Paese. Se però i numeri dei casi, dei ricoveri e dei morti non saranno stazionari tutto questo non sarà possibile.

A fare da ago della bilancia insomma saranno gli ultimi dati sulla pandemia e la decisione sulla proroga (o meno) dello stato di emergenza arriverà esattamente a ridosso del termine ultimo disponibile per legge. Questo approccio però sembra quindi puntare all’assenza di un prolungamento che, tuttavia, non sarebbe insensato dal punto di vista fattuale.

Una domanda che sorge spontanea è ad esempio se, in assenza di una situazione istituzionalmente emergenziale, sia possibile disporre del sistema dei colori assegnati alle regioni. C’è da dire infatti che questa è una misura a cui, ad oggi, l’esecutivo non può permettersi di rinunciare.

Pronto anche il piano B

Proprio per questo e alla luce di altre considerazioni pratiche esiste la possibilità di mettere in pratica il cosiddetto “piano B”. Il tutto si sostanzierebbe in una proroga di un mese (o al massimo due mesi) dello stato d’emergenza, solo e soltanto per dar modo alla Protezione civile di organizzarsi e assorbire tutto il settore oggi indipendente controllato dal generale Figliuolo.

Il passaggio si chiuderebbe il 31 gennaio 2022 o in corrispondenza della fine del mese di febbraio. Questa seconda data però è poco probabile perché la manovra richiederebbe un nuovo decreto (in quanto il ciclo del periodo emergenziale può avere la durata massima di due anni ed è iniziato il 31 gennaio 2020).

Nonostante non sia stata ancora detta l’ultima parola, il verdetto appare abbastanza evidente: ci sarà una revisione dell’apparato di mobilitazione dello Stato. Che ciò sia frutto della fiducia nei vaccini o anche di un desiderio di imprimere un cambiamento allo stallo in cui l’Italia si trova da 2 anni non importa, ciò che farà la differenza sarà il risultato.

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