Qual è il ruolo dell’analisi tecnica nel 2019? Ne parliamo con Davide Bulgarelli

Alessio Trappolini

14 Marzo 2019 - 10:25

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Davide Bulgarelli, asset manager e Presidente SIAT, spiega a Money.it l’evoluzione e il ruolo dell’analisi tecnica nel mondo dell’asset management, anticipando con noi alcuni fra i temi più caldi che saranno trattati nel SIAT QuanTech del 16 maggio prossimo

Qual è il ruolo dell’analisi tecnica nel 2019? Ne parliamo con Davide Bulgarelli

“I mercati non seguono una random walk…e neanche fondi ed ETF lo fanno”, è lo slogan della prossima QuanTech Conference 2019 organizzata dalla Società Italiana di Analisi Tecnica (SIAT) per il prossimo 16 maggio a Milano.

«Sarà una conferenza alternativa, organizzata da asset manager per asset manager», promette Davide Bulgarelli (nella foto), asset manager per il gruppo BNL-BNP Paribas, Presidente SIAT e Chairman dell’edizione 2018 di QuanTech.

Al centro del dibattito di quest’anno vi saranno i temi più caldi del momento nel mondo dell’asset management e dell’industria del risparmio in Italia:

  • Gestione quantitativa o discrezionale?
  • Gestione attiva o passiva?
  • Intelligenza artificiale o umana?

Nell’attesa dell’evento abbiamo provato a dare una prima risposta a questi interrogativi insieme al Chairman della manifestazione, Davide Bulgarelli.

Dott. Bulgarelli, qual è il plus di un asset manager oggi?

La gestione si fa sempre in rapporto ad un benchmark, di cui ci si serve per far vedere a un cliente quale sarà il rischio da correre e poi, ‘forse’, il rendimento. L’analista tecnico o il gestore possono avere due tipi di approccio verso il benchmark per raggiungere la performance: attivo o passivo. Spesso negli ultimi anni c’è stata una sorta di dicotomia fra il mondo dei gestori di fondi e il mondo di chi fa prodotti passivi. Io ritengo che sia una guerra fra poveri poiché nella realtà dei fatti ognuno deve fare, possibilmente al meglio, il proprio mestiere: nel caso della gestione passiva è più semplice in quanto l’obiettivo del gestore è chiaramente identificabile, ossia rendere un prodotto poso costoso ed efficiente in termini di liquidabilità e altre caratteristiche. Per quanto concerne il gestore attivo è un pò più complicato poiché deve battere il benchmark in maniera costante nel tempo.

Ma è ancora possibile battere i mercati?

La teoria della finanza tradizionale vuole che i mercati siano efficienti. Niente di più sbagliato. Chi viene dal mondo dell’analisi tecnica lo sa bene: fra i padri fondatori dell’analisi tecnica, Peter Hamilton e Robert Rhea (coloro che per primi sistematizzarono la Teoria di Dow), sostenevano che le inefficienze sul mercato esistono e possono essere individuate e sfruttate con profitto da trader e investitori. Si è dovuto aspettare fino agli anni ’80 primi anni ’90 affinché il mondo accademico cominciasse a considerare le inefficienze di mercato, da lì tutti gli sviluppi sulla finanza comportamentale e i bias che ancora oggi esistono. Poi ovviamente esistono grosse differenze fra mercati e mercati: alcuni sono più facili da battere, altri meno.

Quindi la “passeggiata” dei mercati finanziari non è poi così casuale?

Oggi siamo tutti, accademici e non, perfettamente consapevoli che la “passeggiata casuale” (la nota “Random Walk Theory” della scuola di Chicago) non è poi così casuale come in passato (erroneamente) si sosteneva, ma di questo gli analisti tecnici ne hanno sempre parlato. Il tema del momentum ad esempio, che oggi va molto di moda fra gli accademici: il primo che ne ha scritto è stato un analista tecnico, cosi come la finanza comportamentale si occupa di temi già presenti nel lavoro di Elliott degli anni ’30. Se uno si rilegge la Teoria delle Onde di Elliott può rinvenire discorsi sul sentiment sottostante alle differenti fasi in cui si sviluppa un trend di mercato: ottimismo, euforia, panico, già in quelle pagine c’è tanta finanza comportale, così come in Dow quando viene trattata semplicemente la differenza fra un investitore e un gambler.

In Italia quando è arrivata questa mentalità?

In Italia i fondi d’investimento sono partiti da fine anni ’80. Uno dei primi fondi, se non il primo, era a vera gestione attiva, parlo del Fondo Professionale, gestito da Angelo Abbondio con la SPRIND (una SIM di ex agenti di Borsa poi divenuta Finanza & Futuro). Nel team di gestione oltre a Alberto Foà (fondatore di Anima e poi AcomeA) c’era Luigi Ravasi, analista tecnico e uno dei fondatori di SIAT nel 1986. A cavallo degli anni ’90 - 2000 c’è stato il boom di raccolta i fondi e ci si è appiattiti sulla gestione passiva a benchmark. Di gestori attivi italiani se ne ricordano pochi e questo ha favorito il successo prima di Edouard Carmignac ed ora di Bruno Crastes con H2O. Ritiengo che la passione per i fondi attivi non stia scomparendo, è solo più difficile scovare gestori bravi in grado di portare a casa extra-rendimento.

Qual è il ruolo degli ETF all’interno di un’asset allocation efficiente?

Io non faccio allocazioni di lungo termine, ma allocazioni efficienti in termini di rischio-rendimento perché come i mercati cambiano anche le asset allocation devono poter avere il loro dinamismo. Quello che cerco di evitare lo riassumo spesso con uno slogan: il B&H che non sta per Buy & Hold bensì per Buy & Hope. Oggi esistono sul mercato molti prodotti indicizzati che non si limitano a logiche fattoriali, ma si stanno evolvendo in strumenti attivi attraverso i quali il gestore trova ottime occasioni per rotazioni di portafoglio interessanti da fare. Per i retail esistono moltissime soluzioni che possono entrare nella parte core di un portafoglio che replicano macro trend come quello delle Smart city, della mobilità intelligente, l’oncologia, la demografia, l’Intelligenza Artificiale e quant’altro.

Lei si sforza molto nel far riconoscere il valore istituzionale dell’analisi tecnica.

Il valore dell’analisi tecnica è riconosciuto a livello accademico e oramai istituzionalizzato: non vi è team di gestione che in qualche modo non la implementi. L’errore è ritenere Analisi tecnica solo quella grafica, mentre è tutto ciò che non è Fondamentale. Non a caso si parla si parla di “Quantalyst”: analisi algoritmica, e intelligenza artificiale sono nel ns DNA da sempre. Quello a cui io tengo di più è la qualificazione: chiunque in Italia può definirsi analista tecnico, ma solo chi supera le valutazioni del nostro Comitato Scientifico e adotta un preciso codice deontologico può dirsi Analista tecnico SIAT e solo i più esperti ottengono la certificazione “CSTA”.

Ultima iniziativa il nuovo Master Data Science, in partenza il 23 marzo.

Il nuovo Master tratterà di temi che in realtà sono nel DNA di SIAT. Già dagli anni ‘90 parliamo di Reti neurali e Intelligenza artificiale, temi che sono stati trattati nella conferenza mondiale IFTA tenuta a Roma nel 1998. Con il Master si vuole istituzionalizzare i concetti e fornire spunti di approfondimento successivo su temi che saranno al centro dell’evoluzione dell’industria dell’asset management in futuro. Il Master in Data Science non sarà l’unica iniziativa di SIAT, abbiamo in programma il lancio di una serie di lezioni di coding per soci SIAT attraverso webinar dedicati e siamo in contatto con docenti di economia e mercati di diverse Università per creare gruppi di lavoro su questi tavoli.

Per concludere, le macchine prenderanno il posto dei gestori nel futuro?

Ad oggi molte società si avvalgono degli algoritmi come supporto alle decisioni d’investimento. In molti casi l’Intelligenza Artificiale è usata in sostituzione del buon vecchio Comitato investimenti, in altri invece i segnali generati dall’algoritmo vengono comunque analizzati da un team di esperti prima di essere processati. Io ritengo che uomo e macchina non siano alternativi, ma che sia possibile una convivenza dove il primo si occuperà delle cose più discrezionali e lascerà alla seconda le cose deterministiche e puntuali. Questo sarà uno dei temi più caldi del QuanTech del 16 maggio prossimo, evento nel quale avremmo il piacere di avere come ospite David Keller, Presidente e Chief Strategist del fondo Sierra Alpha Research, che porterà un esempio concreto ed attuale di come la macchina aiuta e non sostituisce l’uomo nelle decisioni d’investimento.

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