Riforma custodia cautelare: il Governo salva i colletti bianchi, niente carcere preventivo per mafiosi e terroristi

Vittoria Patanè

13/01/2015

Custodia cautelare: la riforma salva i colletti bianchi e manda in carcere solo i pesci piccoli. Esclusa la custodia cautelare obbligatoria per reati di mafia e terrorismo. Magistrati e giudici in rivolta contro una provvedimento che non risolve niente, ma si limita a creare una giustizia di classe

Riforma custodia cautelare: il Governo salva i colletti bianchi, niente carcere preventivo per mafiosi e terroristi

In carcere i piccoli pregiudicati, fuori i Colletti Bianchi. Questa la conseguenza principale della riforma sulle misure cautelari personali che il Senato voterà nei prossimi giorni.

Il provvedimento, concepito per risolvere il problema del sovraffollamento disumano delle carceri italiane, limita fortemente il carcere per chi è in attesa di giudizio.

Le misure di carcerazione preventiva oggi riguardano circa 23mila persone su 63mila detenuti in totale. Secondo la Magistratura però la legge non farà altro che lasciare a piede libero gli insospettabili, mettendo in carcere ladruncoli e piccoli pregiudicati.

Numerose le voci di dissenso. Contro la riforma si sono scagliati l’Anm, il Procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, il Procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, il presidente della Commissione riforme del Csm Piergiorgio Morosini e tanti altri.

Quest’ultimo, intervistato da ilfattoquotidiano.it ha affermato che la riforma si muove in direzione opposta rispetto alle leggi sulla sicurezza approvate nel corso degli ultimi 15 anni, norme che:

“hanno potenziato il ricorso al carcere, anche in attesa di giudizio, ogni volta che un delitto impressionava l’opinione pubblica, ma lascia immutato un sistema da giustizia di classe che manda in carcere gli emarginati per reati di microcriminalità e non colpisce quasi mai chi è gravemente sospettato di manovre illegali nella pubblica amministrazione”.

Una giustizia classista insomma. Ma la gravità sale soprattutto se si pensa che il provvedimento influenzerà anche i processi per mafia e terrorismo. Nel corso del passaggio parlamentare infatti è stata cancellata la custodia cautelare obbligatoria per i reati di mafia, terrorismo e di scambio politico-mafioso.

La custodia cautelare verrà ridotta solo ai casi di pericoli "attuali", cioè nel caso in cui non si possa ricorrere a misure sostitutive di coercizione e interdizione, sarebbe a dire: arresti domiciliari, ritiro del passaporto, obbligo di firma, obbligo o divieto di risiedere in un determinato luogo.

Il Procuratore di Roma Giuseppe Pignatone se la prende in particolare con "l’attualità del pericolo":

“Se dobbiamo dare alla parola ‘attuale’, calata nel testo di legge, il significato che ha nel vocabolario italiano… noi rischiamo di non poter mai più ricorrere alle misure cautelari al di fuori dei casi di flagranza o dell’immediata minima distanza temporale dei fatti”.

Anche Pignatone sottolinea come la riforma salvi in particolare "i reati dei colletti bianchi, della pubblica amministrazione e via elencando”.

Inoltre, sottolineano gli addetti ai lavori, a causa della riforma la stessa procedura di richiesta di custodia cautelare diventerà più complicata:

“Per andare in carcere non basteranno più alcuni automatismi, come l’essere gravemente sospettato di omicidio. Anche in quel caso, infatti, se il soggetto è incensurato e non si dispone di chiari elementi per temere la reiterazione del reato o il pericolo di fuga ‘attuale’, sarà più difficile applicare la misura di custodia cautelare in carcere”.

spiega Morosini.

A detta di molti poi, la riforma non solo rende difficile la vita per i giudici, ma non servirà a risolvere il problema del sovraffollamento carcerario. Il magistrato chiarisce infatti che:

“Il sovraffollamento è legato soprattutto a delitti da microcriminalità urbana e a soggetti pregiudicati o recidivi. Si tratta spesso di spacciatori o ladruncoli, sovente extracomunitari, che non dispongono di un domicilio e il più delle volte finiscono in carcere perché il giudice non sa dove altro mandarli. Già oggi, in alcuni casi, si potrebbe applicare una soluzione alternativa, come i domiciliari. Ma non lo si fa perché mancano adeguate strutture pubbliche in grado di accogliere questi soggetti”.

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