Raddoppio dei termini di accertamento per reati tributari: quando è previsto?

Federico Migliorini

29 Dicembre 2014 - 06:57

La normativa fiscale prevede che in alcuni casi l’amministrazione finanziaria possa raddoppiare gli ordinari termini di accertamento per i principali reati tributari. Ecco quando.

Raddoppio dei termini di accertamento per reati tributari: quando è previsto?

Nell’ambito degli accertamenti tributari l’articolo 37 del D.L. n. 223/2006 prevede in ipotesi di violazioni di norme penali tributarie (di cui al D.Lgs n. 74/2000), che comportano obbligo di denuncia al Pubblico Ministero, ai sensi dell’articolo 331 del Codice di procedura penale, il raddoppio dei termini di accertamento.

Nei casi ordinari, la scadenza dei termini per effettuare accertamenti nei confronti dei contribuenti, è il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello nel quale è stata presentata la dichiarazione dei redditi, termine che si allunga di un anno nel caso in cui la dichiarazione non sia stata presentata. In presenza di reati previsti dal D.Lgs 74/2000, relativamente all’anno in cui è stata commessa la violazione, il termine di accertamento raddoppia passando al 31 dicembre dell’ottavo anno successivo (o del decimo anno successivo nel caso in cui la dichiarazione sia omessa).

La Consulta ha precisato, con l’ordinanza n. 247/2011 che il raddoppio dei termini si realizza anche nel caso in cui il reato commesso dal contribuente venga scoperto dagli Uffici verificatori anche successivamente al termine di decadenza ordinario (31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione). Tuttavia, per evitare un utilizzo strumentale da parte del Fisco nella comunicazione della notizia di reato alla Procura, al solo fine di riaprire periodi di accertamento non più controllabili, la Corte ha ritenuto opportuno precisare che è consentito al giudice tributario di controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia.

In pratica il giudice tributario è chiamato a compiere una valutazione circa la ricorrenza di questi presupposti, e accertare quindi, se l’amministrazione finanziaria ha agito con imparzialità o se ha fatto un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni di legge per fruire ingiustificatamente di termini di accertamento più ampi, al solo fine di aumentare la materia imponibile. A ciò va aggiunto un’ulteriore elemento di tutela nei confronti del contribuente, in quanto, il Fisco per consentire alle Commissioni tributarie di operare la valutazione richiesta dalla Consulta, è chiamato a produrre la comunicazione di reato, cosa che, di norma, non avviene.

Riepiloghiamo adesso i principali reati tributari connessi alle dichiarazioni fiscali e agli inadempimenti contabili e documentali, disciplinati dal decreto legislativo n. 74 del 2000.

  • Dichiarazione fraudolenta - si realizza attraverso l’utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, o avvalendosi di altri artifici. La dichiarazione fraudolenta si distingue per l’elemento della frode, ovvero, la volontà di voler contraffare la dichiarazione;
  • Dichiarazione infedele – si realizza attraverso il mancato riporto di elementi attivi (o passivi) di ammontare rilevante;
  • Dichiarazione omessa – si realizza solo nel caso in cui si superi la soglia di punibilità fissata a 30.000 € di imposta evasa;
  • Emissione di fatture o documenti per operazioni inesistenti;
  • L’occultamento o la distruzione di documenti contabili;
  • L’omesso versamento di ritenute certificate o dell’Iva dovuta, sulla base della dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a 50.000 €;
  • L’utilizzo in compensazione di crediti non spettanti o inesistenti, quando l’ammontare eccede 50.000 euro per ciascun periodo d’imposta.

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