Il governo ha deciso di premere l’acceleratore sul piano di privatizzazioni proposto a novembre e che dovrebbe fruttare allo stato circa 12 miliardi.
In realtà all’ordine del giorno della riunione tenutasi ieri a Palazzo Chigi c’era soltanto il progetto di privatizzazione delle Poste italiane per un valore di circa 5 miliardi di euro.
Il progetto di privatizzare alcune delle principali azienda italiane è tornato in auge a novembre dopo la bocciatura della legge di stabilità italiana da parte della commissione europea. L’Italia aveva bisogno di mostrare più impegno nell’abbassare il proprio debito pubblico.
Riunione del governo
Alla riunione a palazzo Chigi erano presenti oltre al sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Filippo Patroni Griffi, il viceministro dello Sviluppo economico con delega alle telecomunicazioni, Antonio Catricalà anche i rappresentanti delle parti in causa:
per Poste l’amministratore delegato Massimo Sarmi, per Cassa depositi e prestiti l’ad Giovanni Gorno Tempini, per il Tesoro il direttore finanza e privatizzazioni Francesco Parlato e il direttore generale Vincenzo Lavia.
Secondo le notizie riportate dalle principali agenzie di stampa, nel corso della riunione si sarebbe deciso di vendere circa il 30-40% delle Poste italiane entro la fine dell’anno.
L’operazione
L’operazione, secondo le informazioni diffuse dalle agenzie di stampa al termine dell’incontro, dovrebbe partire entro luglio. Sul mercato sarà collocata una quota di minoranza pari al 30 - 40% di Poste italiane tramite Ipo.
Il piano del governo inoltre, prevede di riservare la fetta maggiore del capitale sul mercato a investitori istituzionali.
"Poste Italiane e’ un asset di cui lo Stato non potra’ assolutamente perdere il controllo". è la dichiarazione del vice ministro allo Sviluppo economico, Antonio Catricala’, a margine di un convegno, aggiungendo che "e’ stato importante decidere di non fare uno spezzatino". Catricala’, inoltre ritiene "opportuno un coinvolgimento dei dipendenti nella privatizzazione di Poste Italiane", un’ipotesi "ben vista dai sindacati".
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