Perché il risultato delle elezioni in Islanda è storico

Chiara Esposito

26 Settembre 2021 - 22:03

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Primato europeo per la parità di genere: il parlamento islandese è a maggioranza femminile. I numeri dello stato e la situazione nel resto del mondo.

Perché il risultato delle elezioni in Islanda è storico

L’Islanda ha votato e queste ultime elezioni resteranno nella storia: il motivo risiede nella composizione dei seggi, più della metà sono ricoperti da donne.

Per la prima volta un parlamento della comunità europea mostra risultati capaci di ridisegnare la geografia parlamentare nei rapporti di potere e accendere un faro sul tema della parità di genere nel vecchio continente. Solo la Svezia prima di oggi si era avvicinata a risultati simili mentre gli altri paesi sono ben lontani da tali traguardi.

L’Islanda inoltre, a differenza di molti paesi comunitari, non ha mai fatto ricorso allo strumento delle quote rosa: ha solo alle spalle una storia di lotte e vittorie femministe che ben contestualizzano quest’esito.

Le quote rosa quindi sono solo uno strumento compensativo volto ad abbattere la discriminazione sistemica che vige in molti settori, ma non possono essere l’unica risposta alle disparità.

Elezioni Islanda: gli esiti

Le elezioni di sabato hanno visto il governo di coalizione sinistra-destra allargare la sua maggioranza a sfavore del Movimento Verde del Primo Ministro.

Il partito al governo ha infatti perso tre seggi e con il 12,6% è passato al terzo posto dietro al Partito del Progresso (centrodestra) di Sigurour Ingi Johannsson e al Partito dell’Indipendenza (conservatore) del veterano Bjarni Benediktsson.

La frangia di Johannsson detiene oggi il 17,3% dei voti che equivalgono a 13 seggi, cinque in più rispetto al voto del 2017.

In testa come primo partito restano però i conservatori con il 24,4% dei suffragi e 16 seggi corrispettivi.

Tutti i partiti sin ora menzionati presentano, quindi, una rappresentatività di genere paritaria essendo l’Islanda un paese che incoraggia la candidatura di un egual numero d’individui per sesso. Secondo le proiezioni basate sui risultati finali infatti a sedere all’Althing sono 33 donne, il 52% dei seggi disponibili (63 in tutto).

Una storia costellata da esempi incoraggianti

Molte delle battaglie che incendiano oggi le piazze mondiali non sono mai state discusse con così tanta opposizione da parte del popolo islandese.

L’apertura all’inclusione in questo paese era evidente già dalla seconda metà degli anni novanta, quando venne introdotta la prima legge sulla parità di retribuzione tra uomini e donne e venne anche concesso lo stesso congedo parentale a uomini e donne. Due sfide ancora molto attuali in tutto il resto d’Europa.

Un altro grande primato, stavolta mondiale, fu l’elezione di un presidente donna nel 1980, l’allora cinquantenne Vigds Finnbogadottir, rieletta per altri tre mandati e in carica per 16 anni. Anche oggi a capo del paese c’è una donna, il suo nome è Katrin Jakobsdottir.

Per queste, e tante altre ragioni, il World Economic Forum negli ultimi 12 anni ha premiato l’Islanda come Stato pioniere nell’uguaglianza di genere e nei diritti delle donne. La classifica infatti la nomina da tempo “Paese maggiormente egualitario”. Al seguito troviamo Norvegia, Finlandia e Svezia ma anche Nicaragua, Nuova Zelanda, Irlanda, Spagna, Rwanda e Germania.

Parità di genere nella politica mondiale

A fronte di un esempio tanto virtuoso viene da chiedersi quali siano gli scenari internazionali per le donne che intraprendono la carriera politica. Quali stati a oggi offrono loro maggiore accessibilità alle cariche istituzionali?

In Italia la percentuale di elette alla Camera è del 36,06%, in Senato del 35,11%. I dati raccolti dall’Unione interparlamentare, invece, rilevano percentuali consistenti di deputate nei seguenti paesi:

  • Ruanda (61%),
  • Cuba (53%);
  • Nicaragua (51%);
  • Messico (50%);
  • Emirati Arabi Uniti (50%).

Cinque paesi del mondo insomma hanno attualmente parlamenti in cui le donne detengono almeno la metà dei seggi e sebbene la composizione dei governi mondiali risulti essere ancora disomogenea, casi come questi andrebbero analizzati e tenuti sotto osservazioni per trarre delle prime ragionevoli conclusioni su quale sia la postura da assumere in vista del prossimo futuro.

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