Opere d’arte che passione

Giovanni Carlo Coppola

24 Luglio 2017 - 08:00

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Come rischiare una denuncia penale per risparmiare poche decine di euro. Di Giovanni Carlo Coppola.

Opere d’arte che passione

Il Dottor Giovanni Carlo Coppola ci spiega come funziona la deducibilità fiscale ed il trattamento contabile dell’acquisto di opere d’arte.

SEGRETO

Questo segreto ci spiega come dedurre i costi delle “opere d’arte” comprate in misteriosi paesi esteri, il cui costo, al momento di entrare in Italia, si decuplica. Si dice, che in quanto opere d’arte, non è facile per i verificatori stabilirne il vero valore e che, essendo comprate in paesi esteri, si possa asserire di aver pagato un importo maggiore del reale, considerato che, in questi paesi non vi è limite alla circolazione del contante e come ricevuta basta un tovagliolo.

COMMENTO

Prima di analizzare le implicazioni legali e fiscali è necessario fare delle premesse. Come tutti i segreti dell’imprenditore disinibito, quello argomentato in questo paragrafo è alquanto fumoso e lascia parecchi interrogativi. Non è dato sapere quali siano questi paesi stranieri; non è chiarito cosa succede al rientro in Italia al momento di dichiarare in dogana i beni introdotti nel nostro paese; non si comprende se gli acquisti vadano trattati effettivamente come opere d’arte o come complementi di arredo, facendo intendere che possa essere portato in deduzione anche l’acquisto di un Picasso o di un Van Gogh.

Chiariamo subito che nel caso di opere di ingente valore economico ed artistico, in considerazione che queste non subiscono deprezzamento nel tempo, anzi accrescono di valore, non è ammissibile portarle in ammortamento e non sono deducibili dal reddito di impresa nemmeno se trattate come spese di rappresentanza. In questo senso si è espressa la Suprema Corte con sentenza n° 22021 del 2006 e il Comitato Consultivo per le norme antielusione con parere n° 29 del 2005. A onor del vero, dobbiamo citare in senso contrario la dottrina, che ritiene deducibile come spesa di rappresentanza anche un’opera d’arte di notevole valore (P. Monarca – Deducibilità dal reddito di impresa delle spese per acquisto di opere d’arte e di beni culturali – Corriere Tributario n° 26/2005) ma, nel caso di una verifica, non abbiamo dubbi che l’orientamento dell’Agenzia delle Entrate sarà in senso negativo.

Per completezza di trattazione citiamo che in tema di lavoro autonomo gli acquisti di oggetti d’arte e di antiquariato sono classificabili tra le spese di rappresentanza e, pertanto, deducibili per un importo pari al 1% dei compensi.

Tanto considerato, dobbiamo supporre, evidentemente, che il nostro imprenditore “disinibito” faccia riferimento non a vere opere d’arte, bensì a complementi di arredo.
Fatte queste premesse, ammesso e non concesso che ci troviamo di fronte a complementi di arredo interamente deducibili, analizziamo il comportamento del nostro imprenditore “disinibito”.

È evidente che l’acquisto sia stato fatto in un paese extraeuropeo, tanto è vero che il manuale fa riferimento a pagamenti in dollari e, visto che fa un velato riferimento a “quei paesi”, probabilmente non si riferisce agli Stati Uniti, ma a paesi del Centro America, notoriamente paradisi fiscali.

Per semplificare, tralasciamo in questa sede, le implicazioni di carattere doganale relative all’importazione di “opere d’arte”, le questioni di Iva, dazi doganali, ecc. e concentriamo la nostra attenzione sulla deducibilità dell’acquisto, come descritto nel manuale dei segreti.

Per ricapitolare: abbiamo un acquisto di “opere d’arte” di un certo valore (3.000 dollari), acquistato probabilmente in un paradiso fiscale, pagato in contanti, documentato da un tovagliolo… Beh! In caso di verifica fiscale siamo pronti a scommettere sulla vittoria dell’Agenzia delle Entrate.

La nostra analisi non sarebbe completa se non facessimo riferimento al trucco “disinibito”… In verità, un trucco che non ha niente di rivoluzionario. Il nostro amico, che più che disinibito oseremmo definire spregiudicato, ritiene molto semplice aggiungere uno zero alla sua ricevuta, tanto non lo scoprirebbe nessuno. Questo consiglio, un commercialista, un vero commercialista, non lo darebbe mai, perché si tratta di un reato e per i reati non ci sono sanzioni amministrative. Se si viene scoperti non si paga una multa e tutto si sistema. Per i reati le sanzioni sono penali, si rischia la galera. Si tratta, infatti, di Fatture per Operazioni Inesistenti ex art. 2 legge 74/2000. È un trucco illegale. Peraltro, sulla copertina del famigerato manuale è ben specificato: “59 segreti leciti e illeciti” e questo è sicuro che è un espediente illecito…
Per finire, è doveroso verificare, assumendo il rischio di compiere un reato, quale sia stato il vantaggio fiscale ottenuto.

Premesso che il trucco fa riferimento a 3.000 dollari, che equivalgono, al cambio attuale, all’incirca a 3.000 euro; che tale acquisto andrebbe classificato tra le immobilizzazioni materiali come mobili e arredi e ammortizzato secondo le percentuali di ammortamento di cui al DM Finanze del 31/12/1988 che, mediamente, per gli arredi è pari al 15%; tanto premesso, avremo un costo annuale deducibile di euro 450. Avendo il nostro imprenditore, probabilmente, un’azienda costituita sotto forma di srl, visto che è la forma societaria fortemente consigliata dal famigerato manuale dei trucchi “leciti e illeciti”, avremo le imposte IRES al 24% e IRAP al 4,25 ed un conseguente risparmio fiscale pari al 28,25% di 450 euro, cioè poco meno di 130 euro. Un bell’affare… proprio un bell’affare correre il rischio di una denuncia penale per risparmiare 130 euro!

Concludiamo con un pensiero che siamo soliti rivolgere ai nostri clienti quando ci chiedono qualche “trucco” per pagare meno tasse:
Fino a quando non arriva la Guardia di Finanza sono tutti… escapologi

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