Modifica delle mansioni del lavoratore: quando è possibile? Cosa cambia con il Jobs Act?

Rosaria Vincelli

25 Gennaio 2016 - 15:39

Con il Jobs Act vengono introdotte novità in tema di modifica delle mansioni lavorative ed accordi modificativi. Vediamo quando è possibile e a quali condizioni.

Modifica delle mansioni del lavoratore: quando è possibile? Cosa cambia con il Jobs Act?

Importanti novità sono state introdotte per i datori di lavoro che, dopo il Jobs Act, hanno una maggiore autonomia per quanto attiene alla modifica delle mansioni del lavoratore ed alla possibilità di stipulare accordi modificativi.
Vediamo cosa cambia, quando è possibile modificare le mansioni del lavoratore ed a quali condizioni.

Cosa cambia con il Jobs Act?
Con il decreto attuativo del Jobs Act sono stati rivisti due principi importantissimi: la disciplina dello ius varandi e la possibilità di prevedere accordi individuali modificativi.

Lavoro, mansioni del lavoratore: novità per lo ius varandi

Con il decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 come previsto dalla legge delega n. 183 del 10 dicembre 2014, è stata modificata la disciplina in tema di demansionamento del lavoratore e quindi l’art. 2103 del codice civile.

Prima della modifica all’art. 2013 c.c. il datore di lavoro non poteva, unilateralmente, modificare le mansioni del lavoratore, invece, con il Jobs Act il testo dell’articolo è stato integralmente cambiato.

Per quanto attiene alla disciplina dello ius varandi, è stato eliminato il principio delle mansioni equivalenti (in base a questo principio è necessario impiegare il lavoratore solo nello svolgimento di mansioni che consentano la salvaguardia della specifica professionalità acquisita nello svolgimento di quelle pregresse) ed è stato riconosciuto al datore di lavoro un più ampio margine di autonomia che gli consente di modificare anche unilateralmente le mansioni del lavoratore.

Stando al dettato della norma, infatti, “il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione”.

Quindi, mentre in precedenza, nel caso in cui si sottoponeva la questione al Giudice, quest’ultimo era tenuto a controllare l’equivalenza della mansione, l’eguaglianza retributiva e la riconducibilità delle nuove mansioni allo stesso livello di inquadramento contrattuale, oggi è necessario considerare solo gli ultimi due fattori.

Secondo la nuova disciplina dell’art. 2103, quindi, il lavoratore può essere adibito:

  • alle mansioni per le quali è stato assunto;
  • alle mansioni corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito;
  • a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento (dirigenti, quadri, impiegati e operai) delle ultime effettivamente svolte (art. 3, co. 1, D.Lgs. 15.6.2015, n. 81; art. 2103, co. 1, cod. civ.).

Il demansionamento, non previsto dalla disciplina previgente, è, invece, consentito solo quando si è in presenza di:

  • modifica degli assetti organizzativi aziendali che incida sulla posizione del lavoratore;
  • ulteriori ipotesi previste dai contratti collettivi (anche aziendali).

Qualora il datore di lavoro disponga una modifica delle mansioni lavorative del lavoratore, deve provvedere a darne comunicazione scritta a pena di nullità.
Il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento ed al mantenimento del medesimo trattamento retributivo.

Lavoro, mansioni lavoratore: accordi modificativi

L’altra importante modifica è stata fatta dall’art. 3 del D.lgs n. 81/2015 il quale stabilisce che nelle sedi di conciliazione ex art. 2113, 4° comma, c.c. si possono stipulare accordi individuali modificativi di alcuni aspetti del contratto lavorativo, quali:

  • le mansioni;
  • la categoria legale;
  • il livello di inquadramento attribuiti;
  • la relativa retribuzione corrisposta.

La causa alla base di questi accordi deve essere sempre l’interesse del lavoratore a conservare l’occupazione, acquisire una diversa professionalità, migliorare le condizioni di vita.

Ricordiamo, poi, che nel caso di svolgimento di mansioni superiori il lavoratore ha diritto alla retribuzione corrispondente all’attività svolta e che tale inquadramento diviene definitivo se non avvenuto in sostituzione di altro lavoratore e trascorso il periodo fissato dai contratti collettivi anche aziendali o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi (con la previgente normativa erano sufficienti tre mesi).

Nessuna modifica è stata apportata alla nullità del patto contrario e al trasferimento, possibile solo per motivi tecnici, produttivi ed organizzativi.

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