Un lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo considerato illegittimo si rivolge al Tribunale di Milano. I giudici gli danno ragione, ma la conseguenza non è la reintegrazione nel posto di lavoro, bensì un risarcimento in denaro.
Per la prima volta quindi, il Tribunale di Milano (ordinanza 28 novembre 2012) applica senza indugi le modifiche all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori apportate dalla Riforma Fornero.
Cosa prevede la Riforma?
Comincia a manifestarsi così la portata innovativa della Riforma. Essa prevede (Comma 42 articolo 1, legge 92/2012) che i giudici possano decidere la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro solo nel caso in cui si accerti “la manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento”.
Nessuna reintegrazione automatica per ogni licenziamento invalido quindi, ma un’indennità risarcitoria in favore del lavoratore quantificabile tra le 12 e le 24 mensilità.
La Riforma, all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, offre infatti al giudice la possibilità di imporre un risarcimento economico in caso di illegittimità del licenziamento per motivi economici e, in un numero più limitato di casi, anche disciplinari.
Resta invece sempre obbligatorio il reintegro per i licenziamenti discriminatori o ritorsivi.
Perché il lavoratore non è stato reintegrato?
Nel caso in questione, il licenziamento del dipendente era dovuto alla cessazione dell’appalto al quale egli era addetto, ma il datore di lavoro, pur avendo la possibilità di reimpiegarlo in altre mansioni, ha preferito licenziarlo.
Questo il motivo che ha spinto il giudice a pronunciarsi in favore del lavoratore.
Negli anni precedenti, egli sarebbe stato reintegrato, ma a causa della riforma, la decisione del Tribunale è stata differente.
Ogni giudice infatti, una volta individuata l’illegittimità del licenziamento deve applicare la giusta sanzione basandosi sulla sussistenza (o insussistenza) del fatto che sta alla radice dell’interruzione del rapporto di lavoro.
Nel caso in analisi, il fatto invocato dal datore di lavoro a sostegno del provvedimento di recesso (la cessazione dell’appalto) sussiste. Quindi non è possibile reintegrare il lavoratore, ma solo indennizzarlo.
Indennizzo o reintegro?
Sintetizzando la nuova legge insomma, nel caso in cui il licenziamento sia qualificato come discriminatorio o ritorsivo, o nel caso in cui ci sia una manifesta insussistenza dei motivi che stanno alla base del licenziamento, il dipendente ha diritto al reintegro nel posto di lavoro.
Negli altri casi, nonostante la violazione dell’obbligo di repachage (licenziamento per giustificato motivo oggettivo), è previsto un risarcimento in denaro da parte di aziende o datori di lavoro.
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