Lavoratrice in gravidanza: le regole per l’azienda in materia di sicurezza sul lavoro

Claudio Garau

14 Marzo 2022 - 12:27

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Nei confronti della lavoratrice in gravidanza sono vigenti norme ad hoc, che prevedono una serie di tutele per questa particolare condizione. Ecco gli aspetti più significativi.

Lavoratrice in gravidanza: le regole per l’azienda in materia di sicurezza sul lavoro

Evidente a tutti è il fatto che la lavoratrice in gravidanza sia una figura su cui vale una specifica tutela e un apparato di regole di sicurezza sul lavoro ad hoc, che prevedono vari obblighi specifici gravanti sul datore o azienda.

La gravidanza è certamente un periodo molto delicato per una donna e, in rapporto all’attività lavorativa compiuta, ci possono essere dei rischi per la salute sia della lavoratrice sia del bambino. Non vi sono dubbi particolari a riguardo: tra i rischi lavorativi da considerare, tenuto conto della differenza di genere, vi è anche e soprattutto quello delle lavoratrici che si trovano in stato interessante.

Di seguito intendiamo focalizzarci sul quadro di misure di tutela previste per la lavoratrice incinta, onde fare chiarezza sulle modalità con le quali il legislatore ha inteso proteggere la donna, in questa particolare fase della sua vita.

Lavoratrice in gravidanza: il contesto normativo di riferimento

Se ci si chiede quali sono le regole da applicare al fine di garantire la tutela delle lavoratrici in gravidanza, la risposta è che è stata istituita una normativa ad hoc, ossia il d.lgs. n. 151 del 2001.

Il decreto in oggetto è il cd. “Testo unico a tutela della maternità e paternità” e, oltre a disporre in merito a congedi, riposi e permessi, protegge espressamente la salute e la sicurezza delle lavoratrici sia in gravidanza, sia dopo il parto.

Non sorprende che al suo interno sia chiarito come, per quanto attiene alla sicurezza sul lavoro, una gestante sia una persona alla quale va rivolta un’attenzione ad hoc, sia prima che dopo la nascita del figlio. In altre parole, sul datore di lavoro ricadono vari doveri, mirati alla tutela della dipendente incinta.

Da notare in particolare che il Testo unico di tutela della maternità e paternità prevede che la lavoratrice incinta non compia attività di lavoro nel periodo che va da 2 mesi prima della data presunta del parto a 3 mesi dopo. Oggi è però prevista la flessibilità del congedo di maternità - o posticipo dell’astensione obbligatoria-ovvero la possibilità di utilizzare in modo flessibile il periodo dell’interdizione obbligatoria dall’attività professionale. Lo vedremo nel dettaglio più avanti.

Ma il decreto legislativo citato è significativo altresì perché contiene indicazioni specifiche per quanto riguarda aspetti delicati come la valutazione del rischio; il divieto di lavoro notturno oppure l’astensione anticipata del congedo di maternità.

Quest’ultimo in particolare rileva in tutte le circostanze nelle quali ci siano complicanze nella gestazione o quando le condizioni di lavoro siano a rischio e la lavoratrice non possa essere cambiata di mansione. Inoltre, la tutela delle lavoratrici si riferisce a tutto il periodo della gravidanza e fino a 7 mesi di età del bambino.

Ovviamente in tema di tutela della lavoratrice in gravidanza rileva anche il d. lgs. n. 81 del 2008, ed in particolare nella parte in cui prevede l’integrazione del DVR aziendale con la sezione riguardante la valutazione dei rischi per la sicurezza della lavoratrice incinta.

Lavoratrice incinta: la comunicazione dello stato di gravidanza

Dal momento nel quale la lavoratrice informa il datore di lavoro dello stato di gravidanza, quest’ultimo dovrà mettere subito in atto le misure di prevenzione e protezione ad hoc.

Da notare che - in base a quanto previsto dal d. lgs. n. 151 del 2001 - comunicare il proprio stato di gravidanza è un dovere soltanto nel caso in cui la donna incinta sia esposta a rischi da radiazioni ionizzanti. Tuttavia, dato che la tutela delle lavoratrici madri impone che il datore di lavoro sappia dello stato di gravidanza alle lavoratrici, è opportuno comunicare il proprio stato di gravidanza il prima possibile. In particolare, occorre consegnare all’azienda una comunicazione scritta ad hoc, e ad essa andrà allegato il certificato medico di gravidanza, che include la data presunta del parto.

Sul piano retributivo, la lavoratrice incinta deve inoltre sapere che - per tutto il periodo del congedo per maternità - avrà diritto ad una indennità giornaliera corrispondente all’80% dello stipendio. Ma vero è che molti contratti collettivi pongono a carico del datore di lavoro il versamento del restante 20%, in modo da garantire alla lavoratrice l’intera retribuzione. Anche questa è chiaramente una significativa tutela.

Lavoratrice in gravidanza: gli obblighi del datore di lavoro e la valutazione del rischio

Non stupisce che il datore di lavoro che abbia almeno una lavoratrice in gravidanza in organico, debba mettere in pratica alcune azioni concrete, al fine di garantire la sicurezza sul lavoro. Perciò - in considerazione della valutazione dei rischi della mansione svolta dalla donna - se essa è compatibile con lo stato di gravidanza e allattamento, la lavoratrice potrà proseguire a svolgere il lavoro come al solito, escludendo soltanto il periodo del congedo di maternità fissato dalla legge.

Invece, nelle ipotesi in cui le mansioni non siano compatibili con lo stato di gravidanza, l’azienda ha tre distinte possibilità: adattare la mansione, cambiare la mansione o presentare, per la donna, la cd. ’richiesta di interdizione anticipata/post partum dal lavoro’, comunicandola all’Ispettorato del Lavoro. Ovvio che le prime due possibilità non sono sempre attuabili, giacché strettamente correlate alla tipologia di azienda e di lavoro esercitato. Laddove dette ipotesi fossero attuabili, alla lavoratrice sarà comunque garantito lo stesso stipendio, indipendentemente dall’adattamento o dalla variazione di mansione.

Occorre rimarcare altresì che ogni azienda in cui è possibile che si trovi a lavorare una donna in gravidanza ha il dovere di inserire nel DVR anche la valutazione dei rischi per detta figura, in rapporto a quelle che sono le mansioni presenti in azienda. Detta valutazione dovrà considerare diversi elementi, a tutela della persona in stato interessante. Ci riferiamo ad esempio alla posizione adottata per lo svolgimento delle mansioni, all’orario di lavoro, all’esposizione ad agenti pericolosi per la propria salute e per quella del nascituro. Utile altresì ricordare che, alla fase di valutazione del rischio, partecipano il datore di lavoro, il medico competente, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.

Dopo aver integrato il DVR aziendale con quanto previsto a tutela della lavoratrice in gravidanza, è compito del datore di lavoro informare in via preventiva tutte le lavoratrici su quelli che sono i rischi analizzati nella fase di stesura del documento.

Lavoratrice in gravidanza: quali sono i lavori vietati dalle norme di tutela?

Vero è che esistono attività lavorative assai pericolose, impegnative o insalubri: in base alle norme vigenti, per esse c’è il divieto di svolgerle nell’ambito del periodo di gravidanza e per un periodo post parto che può arrivare fino a 7 mesi.

Si tratta insomma di attività che implicano un oggettivo rischio per chi le esegue, e ci riferiamo ad esempio a queste tipologie di lavoro:

  • attività a bordo di qualsiasi mezzo di comunicazione in moto (inclusi aerei, treni, navi e camion);
  • attività che comportano di tenere una posizione in piedi per gran parte della giornata o una posizione affaticante o scomoda;
  • attività su scale ed impalcature mobili e fisse, con rischio di caduta;
  • compiti di sorveglianza sanitaria;
  • movimentazione manuale di carichi, trasporto e sollevamento di pesi;
  • attività che espongono a temperature molto basse o molto alte;
  • utilizzo di macchine o strumenti che trasmettono forti vibrazioni;
  • lavoro notturno.

In particolare, per quanto riguarda quest’ultimo e cioè in presenza di attività lavorative svolte tra le 24 e le 6 del mattino, è valevole il divieto assoluto di adibire a dette attività le lavoratrici gestanti e madri. Ciò nel periodo che va dall’accertamento dello stato di gravidanza fino ad un anno di età del bambino.

La possibilità del congedo di maternità per 5 mesi dopo il parto

Da notare altresì un’altra importante garanzia per la lavoratrice, rappresentata da quanto previsto dalla legge di bilancio 2019, relativamente alla fruizione del congedo obbligatorio di maternità. Ebbene, in questo provvedimento è prevista la facoltà di avvalersene anche esclusivamente dopo il parto per 5 mesi.

Perciò - insieme alla possibilità di poterlo domandare per 2 mesi prima del parto e 3 mesi dopo il parto o per 1 mese prima del parto e 4 mesi dopo il parto - oggi in tema di congedo obbligatorio di maternità sussiste anche l’opzione di astenersi dal lavoro soltanto dopo il parto. Si tratta della cd. flessibilità del congedo di maternità.

Attenzione però: la normativa di riferimento dispone altresì, per la donna che intenda fruire dei 5 mesi di astensione obbligatoria dopo aver partorito, l’obbligo di presentare, nel corso del settimo mese di gravidanza, la documentazione medico/specialistica emessa dallo specialista del SSN (o convenzionato), nella quale vi sia l’attestazione che l’opzione di rinviare fino al parto l’interruzione del rapporto di lavoro non comporti danno alla salute della lavoratrice incinta e del nascituro fino alla data presunta del parto.

Per avvalersi di questa opzione, occorre dunque la mancanza di particolari rischi per la lavoratrice in gravidanza. Concludendo, ricordiamo che il benestare del medico serve anche per la donna incinta che intende sfruttare il congedo di maternità un mese prima del parto e quattro mesi dopo.

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