Il tasso di disoccupazione in Italia è arrivato a toccare il 12,7%, quello giovanile il 41%. Eppure nel ’98 il numero di disoccupati non era di molto inferiore a quello attuale. Cosa è cambiato nel nostro paese?
“Se tre milioni vi sembran pochi”, scriveva Luciano Gallino nel 1998. Tale era, infatti, (2 milioni e 700 mila per la precisione) il numero di disoccupati italiani in quell’anno. Oggi i senza lavoro in Italia ammontano a circa 3 milioni e 254 mila persone (dati Istat provvisori di Novembre 2013, gli ultimi disponibili), 554 mila unità in più rispetto al 1998. Attualmente il tasso di disoccupazione in Italia è pari al 12,7%, mentre nel ’98 arrivava all’11,3%. Cosa è cambiato dal 1998 ad oggi?
Un po’ di termini
Prima di addentrarci un pochino più a fondo nell’argomento è necessaria una parentesi terminologica.
- Il tasso di disoccupazione è pari al rapporto tra i disoccupati e le corrispondenti forze di lavoro.
- I disoccupati comprendono le persone non occupate tra i 15 e i 64 anni che sono attivamente alla ricerca di un lavoro (ad es. gli iscritti nelle liste di collocamento).
- Le forze di lavoro sono la somma di occupati (le persone dai 15 anni in su che hanno un lavoro) e disoccupati.
- il tasso di attività misura il rapporto tra le forze di lavoro e tutta la popolazione italiana compresa tra i 15 e i 64 anni (dunque non solo coloro i quali sono alla ricerca attiva un lavoro).
Gli occupati aumentano più dei disoccupati?
Che cosa è successo in Italia dal 1998 ad oggi? Se andiamo a guardare i dati sui tassi di attività, notiamo che nel 1998 esso era pari al 61,06%, mentre a fine 2013 raggiunge il 63,5%. Sappiamo che, a parità di popolazione, il tasso di attività aumenta se la forza lavoro aumenta. E infatti tra il 1998 e il 2013 la forza lavoro è cresciuta, passando da 23 milioni e 855 mila persone nel ’98 a 25 milioni e 554 mila nel 2013.
L’aumento della forza lavoro può produrre due risultati: o aumenta il numero di occupati o cresce il numero di disoccupati. Tra il ’98 e il 2013 il numero di occupati passa da 21 milioni 155 mila a 22 milioni e 292 mila, mentre i disoccupati aumentano, come abbiamo già detto, di 554 mila unità, dai 2 milioni e 700 mila nel ’98 ai 3 milioni e 254 mila persone nel 2013. L’aumento degli occupati, dunque, è stato superiore all’aumento dei disoccupati. Tutto bene allora?
I disoccupati hanno un peso maggiore nella forza lavoro
In realtà no. Proporzionalmente, infatti, gli occupati sono aumentati del 5,3%, mentre i disoccupati sono aumentati del 20,5%. L’aumento della forza lavoro, allora, si è riversato maggiormente in un aumento del numero di disoccupati e, dunque, nel tasso di disoccupazione, che passa, come abbiamo accennato, dall’11,3% del 1998 al 12,7% del 2013, ossia un aumento del 12,3%.
Come mai la forza lavoro è aumentata in Italia?
L’aumento della forza lavoro, ossia l’aumento della parte di popolazione compresa tra i 15 e i 64 anni che è alla ricerca attiva di un lavoro, può essere in gran parte dovuto, come è stato accennato anche da alcuni commentatori, al progressivo abbandono degli studi da parte degli studenti compresi tra i 15 e i 24 anni. Come ha messo in risalto un articolo del Corriere della Sera,
in Italia l’11,9% degli iscritti al primo anno delle scuole superiori abbandona gli studi. In particolare, in Campania, il tasso di abbandono è del 13,8%, in Sicilia del 14,6%,in Calabria del 6,6%. In Campania il 35,2% dei giovani di età compresa tra i 18 e i 24 anni non studia e non lavora, e va a gonfiare le fila dei disoccupati di lunga durata, costituendo così una facile preda per l’arruolamento da parte della criminalità organizzata. Si tratta di un dato molto più alto rispetto alla media nazionale (pari al 22,7%) e superiore anche alla media del Sud (31,9%). Se si guarda all’intero quinquennio, in Italia si ha una media del 26% di studenti che non arrivano alla maturità, con punte massime del 30,7% negli istituti tecnici.
Chi ci rimette?
L’afflusso dei più giovani all’interno del mondo del lavoro ha dunque portato ad ampliare il bacino dei disoccupati. In virtù della diminuzione dei livelli di domanda interna e della caduta della produzione a causa della crisi, i più penalizzati sono stati proprio i più giovani. L’aumento del tasso di disoccupazione in Italia è infatti in larga misura attribuibile all’aumento del tasso di disoccupazione giovanile, che in Italia è passato dal 23% del 2004 al 41% del 2013, quasi raddoppiato nel giro di 9 anni. Il dato è impressionante e preoccupante allo stesso tempo. Per concludere, il problema della disoccupazione (sia giovanile che complessiva) in Italia è legato ad un generale problema di domanda interna di cui l’economia italiana soffre. Se la domanda interna non ripartirà, ci aspettano, ahinoi, tempi sempre più bui.
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