Giulio Andreotti, una delle più importanti figure del dopoguerra in Italia, il cui nome era sinonimo di astuzia e di sopravvivenza, è morto oggi, all’età di 94 anni, secondo delle fonti della famiglia.
Sette volte presidente del Consiglio e membro di spicco della defunta Democrazia Cristiana, che ha dominato la politica italiana per quasi 50 anni dopo la seconda guerra mondiale, Andreotti è stato un legislatore in ogni parlamento italiano dal 1945. Fu nominato senatore a vita nel 1991.
Da tempo era malato con problemi respiratori ed era stato ricoverato in ospedale in diverse occasioni negli ultimi anni. È morto a casa, hanno detto le fonti.
Una lunga carriera
Andreotti è stato una figura emblematica che ha polarizzato l’opinione pubblica italiana da quando è entrato al governo all’età di 28 a quando è stato accusato di omicidio e di coinvolgimento mafioso alla fine degli anni ’90.
Nel 1999 è stato assolto dall’accusa che lo vedeva a capo dell’ordine per l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli. È stato assolto nel 2004 da ogni associazione mafiosa, dopo un clamoroso processo e due ricorsi.
Prima è diventato un membro del governo nel 1947 come sottosegretario all’età di 28 anni, e ha sempre mantenuto incarichi ministeriali in prima linea in decine di governi italiani negli anni ’70 e ’80.
Inoltre, è stato il più giovane ministro degli Interni italiano all’età di 34 anni, otto volte ministro della Difesa e cinque volte ministro degli Esteri.
Era primo ministro nel 1978, quando le Brigate Rosse di estrema sinistra hanno rapito e poi ucciso il presidente di Democrazia Cristiana Aldo Moro in uno dei capitoli più oscuri dei cosiddetti "anni di piombo", negli anni ’70 e ’80, quando centinaia di italiani sono morti vittime della violenza politica.
Primi commenti
"Solo chi veramente lo ha conosciuto a fondo sapeva quanto valeva quest’uomo. Ora scriveranno e diranno qualsiasi cosa su di lui. Posso solo dire che la sua assenza si sentirà immensamente", ha detto Giulia Bongiorno che ha servito come avvocato di Andreotti ed è ora un membro del parlamento.
Pier Ferdinando Casini, il cui piccolo partito centrista Udc è l’erede diretto di Democrazia Cristiana, ha commentato: "Penso che la storia dovrà dare un giudizio sereno e profondo su questo’uomo. Tessere la propria vita con quella della storia d’Italia significa avere pregi e difetti".
| Traduzione italiana a cura di Erika Di Dio. Fonte: Financial Times |
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