Israele in Guerra, di nuovo. Quali sono le cause di questa situazione?

Dimitri Stagnitto

12 Luglio 2014 - 15:12

Israele si trova nuovamente a bombardare la striscia di Gaza. Perché sta succedendo di nuovo e quando finirà questa situazione?

Israele in Guerra, di nuovo. Quali sono le cause di questa situazione?

Il titolo di questo articolo è forse eccessivamente pretenzioso: la situazione in medio oriente è tanto complessa e stratificata da rendere impossibile una risposta corretta a una domanda del genere, tanto in un articolo quando in un libro o un’intera biblioteca monotematica.

Ciò che vorrei però riportare alla luce in questo articolo, in questo periodo di rinnovati scontri tra Israeliani e Palestinesi, è l’analisi di Naomi Klein nel suo libro Shock Economy sullo sviluppo della situazione in medio oriente e sulla mancata pacificazione definitiva dell’area nel momento in cui una certa corrente nello stato Israeliano ha scoperto che lo status di "potenza sotto assedio" avrebbe potuto essere la base strutturale della crescita economica dello Stato di Israele.

Credo sia utile quindi riprendere alcuni passaggi dal libro:

La svolta politica del settore economico israeliano è stata brusca. La prospettiva che attrae oggi la Borsa di Tel Aviv non è più quella di Israele come snodo regionale del commercio, ma piuttosto come una fortezza futuristica, in grado di sopravvivere anche in mezzo a nemici accaniti.
Il nuovo atteggiamento era particolarmente evidente nell’estate del 2006, quando il governo israeliano trasformò quella che sarebbe dovuta essere un negoziato per lo scambio di prigionieri con Hezbollah in una guerra aperta. Le più grandi aziende di Israele non solo appoggiarono la guerra: la sponsorizzarono.

Bank Leumi, la megabanca israeliana appena privatizzata, distribuì adesivi da attaccare al parafango delle auto con gli slogan "Saremo vittoriosi" e "Noi siamo forti", mentre, come scrisse all’epoca il giornalista Yitzhak Laof, "la guerra in corso è la prima a diventare un’opportunità di marketing per una delle nostre maggiori compagnie telefoniche, che la sta usando per un’enorme campagna promozionale".

Si potrebbe dire che l’opera di "sponsorship" dello stato di guerra abbia sortito un effetto che perdura tuttora, ce lo testimonia un tweet di Alan Sorensen, inviato in medio oriente per il giornale danese Kristeligt Dagblad che mostra la foto di coloni Israeliani seduto a godersi lo spettacolo dei bombardamenti e ad applaudire al suono delle esplosioni, un po’ come a teatro.

Torniamo al libro della Klein (il grassetto è mio):

Appena un decennio prima, questo genere di esuberanza guerrafondaia sarebbe stata inimmaginabile. Era stato Gillerman, in quanto direttore della Federazione delle camere di commercio israeliane, a spronare il Paese a cogliere la straordinaria opportunità di diventare "una Singapore del Medioriente".

Ora era uno dei falchi più agguerriti di Israele, e spingeva per un’ulteriore escalation. Sulla Cnn, Gillerman disse che "sebbene possa essere politicamente scorretto, e forse anche falso, dire che tutti i musulmani sono terroristi, si dà il caso che sia verissimo che quasi tutti i terroristi sono musulmani. Dunque, questa non è solo la guerra di Israele. Questa è la guerra di tutto il mondo".

La ricetta per la guerra mondiale infinita è la stessa che l’amministrazione Bush aveva offerto come prospettiva di business al nascente complesso del capitalismo dei disastri dopo l’11 settembre. Non è una guerra che possa essere vinta da alcun Paese, ma il punto non è vincerla. Il punto è creare "sicurezza" all’interno di Stati-fortezze, e supportarla con eterne scaramucce al di fuori delle loro mura. In un certo senso, è lo stesso obiettivo che le agenzie di sicurezza private perseguono in Iraq: rendere sicuro il perimetro, proteggere il capo. Baghdad, New Orleans e Sandy Springs ci mostrano in anteprima un futuro fatto di recinzioni, costruito e gestito dal complesso del capitalismo dei disastri. È in Israele, però, che questo processo è allo stadio più avanzato: un intero Paese si è trasformato in una comunità recintata e fortificata, intorno alla quale gravitano gli esclusi, costretti per sempre a vivere nelle zone rosse. Questo è l’aspetto che assume una società quando ha perso l’incentivo economico alla pace ed è fortemente impegnata nel combattere e trarre profitto da una Guerra al Terrore infinita, che non può vincere. Una parte somiglia a Israele, l’altra somiglia a Gaza.

A ciascuno la possibilità di trarre le proprie conclusioni.

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