Italia: gli effetti del surplus o del deficit pubblico sul settore privato

Luca Pezzotta

8 Giugno 2015 - 16:15

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Lo Stato che sottrae risorse al settore privato non è quello che registra dei deficit di bilancio, bensì quello che registra dei surplus di bilancio. Ecco perché.

Italia: gli effetti del surplus o del deficit pubblico sul settore privato

Il mantra ossessivamente ripetuto in questi anni dai sostenitori degli approcci economici mainstream e/o tradizionali è che “lo Stato che spende oltre le sue possibilità” – cioè più di quanto tassa – “impoverisce il cittadino”. Ma siamo certi che le cose stiano proprio in questi termini?

Dall’inizio della crisi si è anche sempre cercato, ovviamente, di individuare il motivo, o i motivi, della crisi stessa. Solitamente, una ricerca in questo senso è più dovuta alla necessità di individuare le cause al fine di avere delle soluzioni migliori, piuttosto che ad una individuazione delle stesse cause per una mera ragione di imputazione delle responsabilità. Infatti, sembra abbastanza noto e condivisibile che conoscendo le origini e le cause di un problema, le soluzioni allo stesso possano risultare migliori e più performanti.

Anche in questo caso, quindi, con l’inizio della crisi abbiamo assistito alla ricerca delle sue cause, nonché dei motivi, ed a tutta una serie di proposte che erano proprio il risultato di come il problema veniva inquadrato.

Una delle soluzione più gettonate è stata individuata nella necessità di porre un limite ed un vincolo al bilancio dello Stato “spendaccione”, che è sfociata nell’approvazione del pareggio di bilancio nell’art. 81 della Costituzione italiana.

Naturalmente non solo la Costituzione prevede dei vincoli di bilancio, anche in alcuni trattati sono previsti altri vincoli, ma quello che ci interessa adesso non è la soluzione in sé, cioè l’apposizione di un vincolo per “sanare” un problema; bensì, quello che potremmo chiamare il “falso mito” dal quale deriva l’apposizione di quel vincolo, e che è poi il motivo per il quale quel vincolo è stato imposto.
E tutti ricordiamo che i vincoli di bilancio sono stati introdotti a causa della “faciloneria con cui lo Stato spende i soldi dei cittadini impoverendoli con i suoi continui deficit”.

Per cui è stata imposta una disciplina di bilancio sulla falsariga di una necessità di “finanze sane” che ha limitato la spesa dello Stato e l’ha imbrigliata nell’obbligo di perseguire dei surplus addirittura primari.

Prescindendo dal fatto comunque non indifferente che, come già sottolineato in un altro articolo, l’Italia è in surplus primario dal 1992 (salvo un deficit minimo nel 2009) ed ha avuto ripetutamente uno tra i migliori avanzi primari dell’euro-zona, quello su cui si vuole focalizzare ora l’attenzione è proprio l’effetto che hanno – diciamo – “in prima battuta”, nel settore privato, il deficit ed il surplus pubblico.

Per farlo, dobbiamo considerare che l’economia può essere divisa in tre grandi settori che individuiamo e chiamiamo per semplificare:

  • il settore pubblico (Stato);
  • il settore privato (non Stato);
  • il settore estero (saldo delle partite correnti).

Di poi, una volta individuati i tre settori dobbiamo considerare – senza valutare, visto che non è quello che ci interessa adesso, la differenza tra un’economia nazionale che è sostanzialmente aperta e quella globale che è sostanzialmente chiusa – ancora due cose.

La prima è che tutto quel che esce da un settore entra in uno degli altri due settori; e la seconda che l’estero è principalmente un settore privato, che non può aggiungere ricchezza al netto in aggregato (il surplus commerciale di un paese è il deficit di un altro e la somma delle bilance dei pagamenti a livello globale è zero).

Ora, per quello che ci interessa, potremmo considerare il settore estero (o il saldo delle partite correnti) uguale a zero e valutare solo le interazioni tra gli altri due settori, oppure, per le ragioni appena sopra esposte, possiamo “aggregare” il settore privato con il settore estero e ridurre i macro settori a due; il settore pubblico e quello privato, continuando a considerare che tutto quello che esce da uno di questi due finisce, per forza di cose, nell’altro; e “stilizzando” quanto esposto come segue:

Una volta fatto questo risulta più semplice spiegare in un modo comprensibile a chiunque cosa succede nel settore privato quando il settore pubblico corre un deficit o un surplus.

Facciamo il caso che, in un determinato momento (anno), nel settore pubblico ci sia una ricchezza pari a 100 e nel settore privato una ricchezza uguale.
Quindi il settore pubblico decide di avere, per il periodo (anno) successivo, un surplus di 20: spenderà 100 e tasserà 120. Nel momento in cui lo Stato spende 100, facendolo per forza di cose nell’altro settore, la ricchezza in questo passerà da 100 a 200. Dopodiché lo Stato tasserà 120 e la ricchezza nel settore privato passerà da 200 a 80. Il risultato finale è che il settore pubblico si trova con 120 e quello privato con 80. È fin troppo facile notare che ad un surplus di 20 dello Stato che ha portato la sua ricchezza da 100 a 120, corrisponde un deficit del privato che ha visto la sua ricchezza diminuire da 100 a 80.

Facciamo ora l’esempio inverso in cui lo Stato decide di avere un deficit di 20: spenderà quindi 100 e tasserà 80. Nel momento in cui lo Stato spende 100 la ricchezza nell’altro settore passa da 100 a 200; dopodiché tasserà per 80 e la ricchezza del settore privato scenderà a 120. Anche in questo caso è fin troppo facile notare come ad un deficit del settore pubblico che porta la sua ricchezza da 100 a 80, avendo un deficit, corrisponde un incremento della ricchezza del settore privato che passa da 100 a 120, realizzando così un surplus.

Quanto fin’ora esposto risulta abbastanza evidente nel grafico seguente, dove si vede molto chiaramente come l’andamento del settore non-governativo (privato), in verde, sia praticamente molto simile – se non identico – a quello dell’andamento del settore governativo (pubblico) in azzurro, ma invertito. Cioè, per esempio, se guardiamo da metà anni ’90 notiamo che ad una diminuzione del saldo governativo (cioè del suo deficit), corrisponde una diminuzione del saldo privato.
Dopodiché ad un aumento del deficit dello Stato corrisponde un aumento del saldo privato; e così via.

Da questo derivano una serie di considerazioni che però limitiamo nel numero a tre.

La prima è che la spesa pubblica rappresenta un’entrata per il settore privato. Se, per esempio, io fossi un insegnante che guadagna mille euro al mese, quei mille euro costituiscono, sì spesa pubblica, ma anche il mio reddito privato. Se lo Stato taglia la spesa per gli insegnanti, anche il mio reddito privato da insegnante diminuirà. E lo stesso vale, sempre per esempio, per una fornitura. Se lo Stato decide di diminuire la sua spesa in quella fornitura, anche il reddito del privato che somministra quella fornitura, diminuirà. Quindi, continuare a demonizzare la spesa pubblica – soprattutto la spesa pubblica propriamente detta e/o spesa primaria - non sembra molto logico, visto che la stessa corrisponde, da un altro punto di vista, anche a reddito privato.

La seconda, che è poi quella principale, riguarda proprio il fatto che, al contrario di quanto vorrebbero farci credere ripetendolo costantemente ed ossessivamente come un mantra, da quanto sopra esposto, dovrebbe risultare abbastanza chiaro che lo Stato che sottrae risorse al settore privato (ai suoi cittadini, gli imprenditori, ai dipendenti, ecc. ecc.) non è quello che registra dei deficit di bilancio, bensì quello che registra dei surplus di bilancio.

Infatti quando lo Stato registra dei surplus di bilancio toglie dal settore privato più di quanto vi mette, sottraendo ricchezza allo stesso. Mentre quando registra un deficit di bilancio, lo Stato mette nel settore privato più di quanto toglie, aumentando la ricchezza nel settore privato stesso.

Se quindi consideriamo che l’Italia, come ricordato in apertura, è in surplus primario dal 1992, possiamo quindi anche dire che in Italia il settore pubblico sta togliendo dal settore privato, mandandolo così in deficit, più di quanto spende da quello stesso anno.

E questo deficit del settore privato che deriva dal surplus primario del settore pubblico – solo con il pagamento degli interessi l’Italia torna in deficit, ma questo deficit dello Stato è praticamente retaggio e vantaggio dei soli creditori, non dell’economia reale - non è dovuto ad una spesa primaria eccessiva dello Stato ma ad un spesa dello Stato in difetto, cioè inferiore a quanto lo Stato toglie dal settore privato (al netto degli interessi sul debito).

L’ultima considerazione è che solo il settore pubblico può aggiungere ricchezza al netto al settore privato considerato in aggregato. Mettiamo il caso che il settore privato del paese A realizzi un surplus di 100 nei confronti del settore privato del paese B. Il surplus di A, sarà il deficit di B. La somma dei due sarà zero. Quindi, è vero che il settore privato di A avrà un surplus, ma quello di B sarà in deficit; e considerando i due settori aggregati, a fronte dell’attività di uno corrisponde la passività dell’altro, con risultato a somma zero. Pertanto nel settore privato considerato in aggregato (A+B) non ci sarà un aumento di “ricchezza netta”.

Consideriamo invece una “transazione” tra pubblico e privato. Se il privato somministra una fornitura riceverà il pagamento dal settore pubblico, dove resterà la passività, mentre il settore privato realizzerà un’attività. La differenza è che, in questo caso, a fronte di un’attività del settore privato, non vi è una passività nello stesso settore come nel caso precedente; bensì la passività rimane nel settore pubblico, mentre nel settore privato si ha la sola attività. Questo porta ad un aumento delle attività del settore privato senza che nello stesso si registri una passività che resta, come detto, nel settore pubblico; e questo aggiunge ricchezza netta – cioè senza una corrispondente passività nello stesso settore - al settore privato.

Infine, è quindi sensato imporre un pareggio di bilancio che significa, per quanto detto, limitare anche la possibilità per lo Stato di immettere risorse nel settore privato?

Ed è utile un limite del 3% nel rapporto deficit/PIL che non è mai stato rispettato praticamente da nessuno, è stato stabilito, almeno da quanto si racconta, a tavolino e con il solo criterio di risultare facilmente comprensibile a tutti, che limita proprio la spesa primaria dello Stato e la porta sovente ad essere tagliata a favore della spesa per interessi?
La risposta sembra essere no; e non solo per quanto esposto, ma anche perché, visti i risultati, non sembra che l’austerità espansiva abbia portato poi tutti questi risultati in termini di espansione economica; e sembra pure ormai anche abbastanza evidente, come i continui tagli abbiano portato solo ad un peggioramento della situazione.

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