La trattativa sugli esuberi tra l’azienda e i sindacati rischia di paralizzare la trattativa con Etihad anche perchè c’è ancora incertezza sul piano industriale e il debito verso le banche
Era la notizia che tutti attendevano: Etihad è pronta ad investire 560 milioni per rilevare il 49% di Alitalia. In Italia la aspettavano un po’ tutti: dal governo, che tramite Poste Italiane aveva rimesso un piede nella ex-compagnia di bandiera, dai "capitani coraggiosi", che per mantenere l’italianità dell’azienda erano stati spinti da Silvio Berlusconi a rilevarla e a perderci poi 1 miliardo di euro di tasca propria, ed anche, infine, dai dipendenti di Alitalia, probabilmente stanchi di lavorare in una compagnia che ogni sei mesi era prossima al fallimento.
Da quando la notizia è arrivata, adesso che Etihad ha girato le sue carte, è infine giunto anche l’intoppo. Una battuta d’arresto prevedibile, che dovrebbe far molto riflettere sul sistema delle relazioni industriali italiano e sul potere dei sindacati.
CIGL, CISL e UIL non ci stanno: i 2251 esuberi chiesti dagli arabi per rilanciare la compagnia sono troppi. "Non possiamo condividere i licenziamenti", ha dichiarato ieri al termine della riunione il segretario nazionale della Filt Mauro Rossi.
"Non si tratta di fare sconti. Chi investe 560 milioni non può avere la necessità di mettere per strada 2.251 persone. Gli esuberi non li accetteremo mai"
gli ha fatto eco il segretario nazionale della Uiltrasporti Marco Veneziani.
Il nodo esuberi
Etihad è stata chiara e ha sollevato un problema noto da tempo: i dipendenti di Alitalia sono troppi in rapporto alla flotta, ai passeggeri trasportati, alle destinazioni e ai progetti di sviluppo dell’azienda. Ed in effetti in numeri sembrano confermare quest’ipotesi:
Escludendo il colosso AirFrance-KLM, inserito a titolo di paragone, Alitalia è meno efficiente sia rispetto a Ryanair (8mila dipendenti per 5 miliardi di fatturato) e sia rispetto alla stessa Etihad, che ha chiuso il 2013 con un fatturato doppio rispetto ad Alitalia nonostante abbia per il momento dimensioni simili. E’ vero allo stesso tempo che Etihad ha quasi la metà dei passeggeri di Alitalia, ma è anche vero che la compagnia emiratina ha ben 198 aerei in ordine - quasi tutti wide body a lungo raggio - ed ha piani di sviluppo molto ambiziosi che vuole condividere sia con le sue controllate, come Air Berlin, e sia con la stessa Alitalia.
Nel dettaglio il nodo esuberi prevede il taglio di 2.251 persone, di cui 787 lavoratori in cassa integrazione a zero ore fino al 2015, 1.084 lavoratori di terra e 380 naviganti, di cui 122 piloti e 258 assistenti di volo.
Se dovesse continuare il muro contro muro tra azienda e sindacati, il rischio potrebbe essere quello di spaventare la compagnia del Golfo che, poiché nella pratica non ha firmato ancora nulla, potrebbe pensare anche di ritirare l’offerta. In questo modo, per salvare 2200 persone, si condannerebbe al fallimento Alitalia e si manderebbero a casa 12mila lavoratori.
Il nodo del piano industriale
Nonostante i sindacati abbiano fatto la voce grossa, allo stesso tempo si sono detti pronti "a trattare ad oltranza", anche perché, proprio ieri, il governo ha fissato per il 15 luglio la scadenza della trattativa. Ci sarebbe dunque un mese di tempo per trovare l’accordo e per capire il piano con cui Etihad vorrebbe rilanciare Alitalia.
Per adesso, riguardo al piano presentato da Etihad non sono usciti molti dettagli, ma le indiscrezioni sembrano indicare che la compagnia del golfo vorrebbe:
- Investire più di 1,2 miliardi di euro fino al 2018
- Rilanciare Roma-Fiumicino come Hub intercontinentale per il Nord e Sud America
- Rilanciare Milano-Linate come mini Hub per l’Europa
- Integrare il network internazionale e nazionale di Alitalia con quello di AirBerlin
L’obiettivo di Etihad sarebbe in sostanza rendere Alitalia una compagnia di respiro internazionale nel giro di 4-5 anni e integrare i collegamenti che Alitalia possiede in Europa e in Nord America con i voli di Etihad verso l’Asia, il Medio Oriente e l’Africa.
Un piano ambizioso, certo, ma che potrebbe trasformare Alitalia da gloriosa decaduta delle compagnia europee a una linea aerea in grado di sviluppare un network di collegamenti di portata mondiale.
Il nodo del debito
Oltre al nodo degli esuberi e all’incognita del nuovo piano, pesa sul futuro di Alitalia anche l’irrisolto problema del debito verso le banche. Intesa Sanpaolo e Unicredit sono gli istituti più esposti con la compagnia italiana e vantano crediti per circa 400 milioni di euro.
Il problema è che i due istituti sono anche i maggiori azionisti della compagnia: Intesa Sanpaolo con il 20% (primo azionista) mentre Unicredit con il 13% (terzo azionista dopo Poste italiane). In sostanza, in questo momento le due banche sono contemporaneamente debitrici e creditrici di se stesse: una situazione che dovrebbe favorire la rapida conclusione della trattativa ma che in realtà la sta rallentando molto.
Etihad ha proposto alle due banche di trasformare il debito in azioni della compagnia, ma i due istituti di credito vorrebbero solo uscire in fretta da Alitalia e non rimetterci i soldi di tasca propria come è successo ai "capitani coraggiosi". Per questo la situazione è in stallo e si attendono gli esiti delle trattative tra Etihad e le banche.
Il nodo della governance
Ieri, infine, le agenzie hanno battuto la notizia che Luca Cordero di Montezemolo potrebbe diventare il prossimo Presidente di Alitalia se le nozze con Etihad dovessero andare in porto. Montezemolo è vicino sia agli ambienti governativi italiani e sia agli arabi, con cui ha un rapporto di amicizia personale.
Il presidente della Ferrari garantirebbe ad Etihad i giusti agganci politici per smuovere un impasse che dura da anni: sempre se i sindacati sono d’accordo.
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