Grecia e Portogallo fuori dall’euro: la soluzione finale di Hans-Werner Sinn

Daniele Sforza

20/11/2012

Grecia e Portogallo fuori dall’euro: la soluzione finale di Hans-Werner Sinn

In un’intervista al "Der Spiegel", l’economista tedesco Hans-Werner Sinn propone una soluzione finale per risolvere la crisi dell’Ue: Grecia e Portogallo fuori dall’euro, anche per il loro bene.

Francia in crisi? Germania dirà sì agli eurobond

Sinn è noto ai più per essere totalmente contrario alle misure di salvataggio imposte dalle autorità europee. La sua soluzione per risolvere la crisi dell’euro e dei Paesi più in difficoltà si traduce nell’abbandono da parte di Grecia e Portogallo della moneta unica.

"La crisi procede in fasi e ci hanno sempre detto che non c’è un’alternativa alla fase successiva, poiché altrimenti l’euro sarebbe crollato. Quindi, sembra che non ci fosse nessuna alternativa quando la BCE ha concesso i prestiti alle banche, quando ha costretto la Bundesbank ad acquistare bond sovrani dai Paesi dell’Europa meridionale contro la sua volontà e quando sono stati approvati fondi di salvataggio sempre più grandi. Adesso stanno progettando di creare un sindacato bancario di socializzare i debiti e le banche dell’Europa meridionale. Il prossimo passo sarà il lancio degli eurobond".

Proposta che però la Germania continua a respingere in maniera veemente, come riporta il Der Spiegel, ma che secondo Sinn verrà accettata nel momento in cui anche la Francia precipiterà nel vortice della crisi. Lo scenario previsto da Sinn non è dei più rosei, visto che si arriverà "a un sistema che ha poco in comune con i principi dell’economia di mercato". "Il denaro continuerà a essere gettato fuori dalla finestra nel Sud Europa", prosegue Sinn "e verrà creata una forte discordia, poiché renderà i Paesi strettamente affini a creditori e debitori".

Grecia e Portogallo fuori dall’euro... temporanea

Per Sinn l’alternativa è un’uscita dei singoli Paesi dall’unione monetaria. Sinn è contrario alle conseguenze negative che molte previsioni affermano con convinzione: non ci sarà enorme fermento, aziende e banche non andrebbero incontro al fallimento e l’Europa non entrerebbe in una profonda e duratura recessione. "Se la Grecia lasciasse l’unione monetaria, i greci tornerebbero ad acquistare di nuovo i propri beni e i più ricchi tornerebbero a investire. E si avrebbero simili esperienze positive anche in Portogallo, qualora decidesse di uscire dall’unione monetaria. L’istituto Ifo ha studiato circa 70 casi di svalutazione delle monete, arrivando alla conclusione che la ripresa inizia dopo un anno o due. Ovviamente suggeriamo una uscita solamente temporanea. Grecia e Portogallo dovrebbero diventare il 30-40% meno costosi per tornare a essere competitivi. Si sta tentando questa strada attraverso misure di austerity eccessive all’interno dell’Eurozona, ma non funzioneranno. Si guideranno questi Paesi sull’orlo della guerra civile. Uscite temporanee significherebbe stabilizzare rapidamente questi Paesi, creare nuovi posti di lavoro e liberare la popolazione dal giogo dall’euro".

Uscire dall’euro non è la fine del mondo

"Dovremmo smettere di annunciare la fine del mondo in caso di uscita", prosegue Sinn facendo notare l’elevato livello di allarmismo che si genera ogni qualvolta si vocifera sull’uscita di un Paese dall’euro. "Dovremo invece fare sì che l’uscita sia un processo ordinato con un rilevante aiuto per le banche del Paese in questione. Quello a cui stiamo assistendo in Grecia è un disastro, ma la catastrofe non è causata dalla sua uscita, bensì dalla sua permanenza nell’Eurozona".

Il vero pericolo è la politica di salvataggio

Per Sinn questa politica di salvataggio è eccessiva e rappresenta senza alcun dubbio il rischio maggiore, molto più grande di un Paese che esca dall’euro. Sinn, dalla sua, porta dati e cifre: "Gli Stati membri dell’Eurozona hanno messo a disposizione 1.400 miliardi di euro in prestiti di salvataggio, 700 miliardi di euro forniti dalla Bundesbank attraverso i suoi prestiti. Poi c’è l’ESM con 700 miliardi di euro, che dovrebbero essere elevati a 2.000 miliardi di euro, contando l’aiuto di investitori privati. Ciò stabilizza i mercati dei capitali, ma destabilizza anche i restanti Stati europei stabili e spazza via i risparmi dei pensionati e dei contribuenti. Stiamo scivolando gradualmente in una trappola da cui non potremo più fuggire".

Insomma, Sinn dichiara che non si può salvare un tossicodipendente soddisfacendo la sua richiesta di più droghe e se si continua a perseverare nelle politiche di austerity, l’Europa conoscerà la più lunga recessione che la Storia ricordi. Non è il primo economista a dirlo, e non è neanche uno sprovveduto, visto che nel 2003 vide lungo sui rischi che si sarebbero potuti generare dalla mancanza di una regolamentazione bancaria più forte e severa.

Un’altra voce fuori dal coro, un grido strozzato o una voce della ragione? L’impressione è che conosceremo la dura verità solo nel 2013.

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