Fuga di talenti digitali: fuori dall’Italia si guadagna di più?

Sara Nicosia

8 Agosto 2019 - 15:16

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I giovani talenti italiani del settore Ict scelgono l’estero per lavorare. Uno studio mette in luce dati e motivi della “fuga di cervelli”.

Fuga di talenti digitali: fuori dall’Italia si guadagna di più?

In Italia la “fuga di cervelli” procede spedita e fa perdere al nostro paese circa 14 miliardi di euro l’anno, quasi l’1% del Pil. La situazione allarmante sullo stato di emigrazione dei talenti nostrani, continua a essere oggetto di dibattito del ministro Giovanni Tria.

Solo pochi mesi fa il titolare dell’Economia ha esposto di fronte a una platea di industrie del settore digitale la necessità di vedere la trasformazione digitale come il treno in corsa su cui salire. L’obiettivo è creare posti di lavoro nuovi in Italia che portino i ragazzi di oggi, e domani, a vedere delle prospettive di guadagno e di vita accattivanti, rimanendo lì dove sono nati.

Ad oggi infatti, come gli stessi imprenditori confermano, l’Italia rimane da oltre un quinquennio in coda alla classifica della digitalizzazione in Europa.

Cervelli in fuga, i dati

La prima osservazione riguarda il mercato interno. In Italia ogni mese sono diverse le fonti di informazione che evidenziano come i profili Ict, per l’appunto le nuove professioni del digitale, siano le più ricercate e quelle le aziende faticano di più a reperire. Ad esempio, per il triennio 2018-2020, si stima che il fabbisogno di queste figure si aggiri tra le 62 e le 98 mila persone, di queste poi, solo una minima parte è legata alla sostituzione di personale in uscita. La retribuzione media annua rimane il vero tallone di Achille.

Grazie ai dati restituiti dall’analisi dell’Osservatorio JobPricing, è possibile avere una panoramica della proposta retributiva offerta ai giovani che si affacciano al settore del digitale, comparando le dinamiche del nostro Paese con gli altri competitor.

Gli italiani che solo nell’ultimo anno hanno deciso di trasferirsi all’estero sono circa 123mila, di questi il 30% sono laureati. La maggior parte di questi ragazzi si trova alle prime esperienze e il cosiddetto stipendioentry level” potrebbe costituire una leva economica a vantaggio dei datori di lavoro. Secondo i dati dell’Osservatorio JobPricing, i Paesi competitor aggiungono una percentuali che va dal 1% al 2% in più sulle retribuzioni annuali rispetto alla media italiana. Unica eccezione la Spagna che invece non supera gli stipendi italiani.

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Italiani all’estero: quali i motivi?

Certo, in alcuni paesi si può ben contestare che a uno stipendio più alto corrisponde anche un tenore di vita più pesante rispetto a quello italiano. Ma allora perchè i ragazzi italiani continuano a scegliere l’estero?

Una risposta arriva direttamente da Paola Boromei, Executive Vice President Human Resources & Organization di Snam. Con la sua azienda la Boromei è reduce da un viaggio a Londra che le ha permesso di incontrare più di 1.500 ragazzi italiani “fuggiti” all’estero e interessati a capire le prospettive di rimpatrio (per altro agevolate fiscalmente dalle novità del Decreto crescita).

La busta paga rimane una delle prime richieste che questi ragazzi di “frontiera” tengono in considerazione nella scelta di un impiego, che sia fuori e dentro l’Italia. A questo subentrano poi altre priorità che diventano sempre più pressanti man mano che i ragazzi crescono e chiariscono gli obiettivi personali, nello specifico è la ricerca di un equilibrio tra vita privata e tempo di lavoro a diventare importante nella scelta di un impiego a lungo termine.

Le prospettive in Italia

Le aziende italiane, nel valorizzare i giovani talenti che scelgono di lasciare il paese, si sono mosse in ritardo. E infatti si va incontro al rischio di un dualismo tra le tante piccole imprese che faticano a mettere in piedi pacchetti retributivi al passo con i tempi, e quelle poche realtà più strutturate.

Sono queste ultime che, considerando gli elevati standard di vita che l’Italia può offrire, dovrebbero considerare le proposte di lavoro come un vantaggio competitivo su cui puntare per far gola a coloro che meditano un rimpatrio.

Il bicchiere mezzo pieno sta nel vedere nell’avanzata naturale della digitalizzazione, anche per le aziende tradizionali, l’apertura fisiologica di una finestra di opportunità lavorative per i ragazzi che potrebbero considerare di rimanere a “casa” alle stesse condizioni offerte dai Paesi esteri.

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