Fiscal Cliff: per Roubini l’accordo è insostenibile. Presto una nuova crisi?

Federica Agostini

3 Gennaio 2013 - 10:52

Fiscal Cliff: per Roubini l’accordo è insostenibile. Presto una nuova crisi?

Secondo l’economista statunitense Nouriel Roubini, l’accordo raggiunto a Washington durante il giorno di Capodanno ha impedito che gli Stati Uniti finissero giù dal precipizio fiscale. Aver schivato il fiscal cliff non significa poter evitare la crisi dovuta al disfunzionale sistema politico degli Stati Uniti. "Non passerà molto tempo prima che avvenga una nuova crisi" scrive Roubini sul Financial Times, perché l’accordo raggiunto sul fiscal cliff è insostenibile.

Il debito diverrà insostenibile, ma sarà solo l’inizio

Il primo marzo 2013 è previsto l’avvio di un giro di tagli alle spese per 110 miliardi di Dollari, ma a quel punto gli Stati Uniti avranno già raggiunto il limite fissato per debito, il cosiddetto "tetto".

"Sarà solo l’inizio, prosegue Roubini, e non passerà molto tempo prima che il dibattito sul consolidamento fiscale sia avviato e abbia inizio una nuova disputa tra Repubblicani, che vorrebbero restringere la mole del governo federale, e Democratici che, invece, preferirebbero mantenerla, ma non sanno con certezza come finanziare a pieno la macchina governativa".

Testa a testa: non c’è solo il fiscal cliff

C’è da aspettarsi una vera e propria "lotta" tra le parti, che sarà contornata da una serie di piccole, singole battaglie sulle riforme fiscali. La situazione, scrive Roubini, diverrà presto disastrosa.

Di cosa ha bisogno l’America? Dell’introduzione di una imposta sul valore aggiunto? Di una tassa piatta? Maggiori (o minori) imposte sui redditi? Della carbon tax?

A questo punto ci sarà l’impasse politico: da una parte, i Democratici intenderanno lavorare sul sistema tasse, dall’altra, i Repubblicani insisteranno sulla necessità di lavorare sui tagli alle spese.

Nel medio e nel lungo termine

Nel medio termine, scrive Roubini, gli aggiustamenti fiscali si tradurranno in una stretta sull’economia pari al 1.2% del PIL. Non sarebbe un problema poi così grave, argomenta l’economista, se la crescita USA fosse pari al 3.5%, ma considerando che negli ultimi trimestri del 2012 la crescita ha avuto una media del 2% ciò significa che nel 2013 l’America rischia pericolosamente lo stallo economico.

Nel lungo periodo, invece, la situazione sembra essere ancor più inquietante. La verità è che l’America non è ancora del tutto consapevole di cosa sia davvero questo "incubo fiscale". C’è grande confusione di temi e idee, spiega Roubini, anche tra gli elettori.

"Tutti devono pagare le tasse, ricchi e poveri". Scrive così Roubini, sottolineando come approvare un accordo insostenibile che estende le agevolazioni fiscali al 98% della popolazione, non possa essere considerata come una vittoria di Obama.

L’America appesa al filo dei mercati

Tuttavia, al momento l’accordo è stato interpretato come una vittoria per Obama, almeno dai quiescenti mercati finanziari. Servirà qualche anno, incalza l’autore, prima che gli Stati Uniti si rendano conto della loro posizione fiscale e adottino le riforme necessarie per ritrovare uno stato di welfare cambiato, ma non lacerato.

"Le grandi carenze fiscali rimarranno nella norma per qualche anno ancora, almeno fin quando i mercati obbligazionari, come credo che faranno, rimarranno quieti".
I "vigilantes" del mercato obbligazionario, scrive l’autore, non hanno sete di distruzione. Perché dovrebbero?

Poca crescita, minore inflazione; il Dollaro americano segue ad essere la valuta di scorta, i tassi di interesse sono a zero, la Federal Reserve ha promesso i vari QE, la Cina e le altre economie emergenti continueranno a correre verso il dollaro per proteggere l’eccessivo apprezzamento delle proprie valute. Tutto ciò garantisce l’estrema convenienza del finanziamento al debito americano, ma prima o poi i vigilantes si risveglieranno.

Fiscal cliff: l’accordo è insostenibile

In conclusione, è evidente come "il mini accordo sul fiscal cliff abbia accuratamente evitato tutte le questioni importanti". Non aver incluso nell’accordo la questione dei tagli alle spese, implica che a breve l’argomento tornerà ad essere di estrema attualità e toccherà a Washington sistemare i problemi, prima che ci pensino i mercati finanziari. Se ciò dovesse accadere, non sarà affatto facile.

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