I flussi di denaro verso i bond europei continuano a sostenere il rally dell’euro/dollaro, che non scende nemmeno dopo gli ottimi dati sul lavoro negli Usa
La notevole domanda di bond europei continua a schiacciare i rendimenti nell’eurozona su tutta la curva dei tassi. Allo stesso tempo questi enormi flussi di denaro, in particolare esteri, a caccia di ritorni elevati sui portafogli mantengono l’euro su valori molto elevati, quasi inaccettabili per molte economie della periferia europea. Per comprendere le dinamiche del cambio euro/dollaro diventano così poco significativi i dati macroeconomici, come ad esempio l’andamento del mercato del lavoro negli Usa, che avrebbe dovuto far scattare fortissimi acquisti sul biglietto verde ma che invece ha confermato l’attuale strapotere dell’euro sul mercato valutario.
Venerdì i non-farm payrolls sono cresciuti al ritmo più elevato da oltre due anni, mentre il tasso di disoccupazione negli Usa è calato drasticamente al 6,3% ai minimi dal 2008. Non è servito, però, a risollevare le sorti del dollaro, che ha messo in piedi solo un temporaneo rally intraday prima di tornare sotto il tiro delle vendite. Non era servito nemmeno il nuovo tapering della FED annunciato mercoledì scorso, che ha portato il piano di acquisti di asset negli Usa a 45 miliardi di dollari (dagli 85 miliardi di fine 2013). Per spiegare la forza della moneta unica europea basta seguire semplicemente la direzione dei flussi monetari internazionali, attualmente sbilanciati in modo clamoroso verso gli asset denominati in euro. La BCE ha saputo reagire benissimo al rischio di crisi sistemica, ma sta mostrando maggiore difficoltà a fronteggiare le nuove emergenze europee: disoccupazione e deflazione.
E’ vero che ad aprile l’inflazione è cresciuta, ma comunque sotto le attese e probabilmente a causa di motivazioni “tecniche”. Un contro-movimento dei prezzi al consumo sembrava fisiologico e così è stato. Ora il mercato si aspetta che Mario Draghi metta in campo l’artiglieria pesante per fermare il rally dell’euro (leggasi: misure monetarie ultra-espansive, magari non convenzionali, ndr). Se non sarà così, l’inazione della BCE potrebbe spingere la valuta europea oltre 1,40 dollari. D’altronde lo scenario deflazionistico è una manna per i bond (nonostante sia deleterio per l’economia reale), così gli investitori continueranno a comprare soprattutto quelli ad alto rendimento, ovvero i titoli di stato dei paesi periferici europei.
Ciò si traduce in acquisti di euro, con la concreta possibilità che il cambio EUR/USD superi 1,40 entro il primo semestre dell’anno, visto che forti acquisti continuano ad arrivare proprio dai grandi fondi di investimento americani. Il boom dell’euro dovrebbe quindi continuare, almeno fino a quando la BCE non deciderà di immettere liquidità nell’economia reale favorendo la crescita. Nel frattempo gli asset denominati in euro proseguiranno il loro trend ascendente. Sul mercato dei bond ciò significa tassi sempre più ai minimi: venerdì il rendimento del Bonos spangolo decennale è sceso sotto il 3%, mentre quello del BTp italiano a dieci anni al 3,03%. Gli acquisti riguardano anche i titoli più sicuri, come quelli tedeschi: i tassi sui bond trimestrali di Berlino sono tornati in territorio negativo.
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