In un anno e mezzo il prezzo del petrolio è caduto vertiginosamente del 75%. Chi ci guadagna e chi invece deve temerne le conseguenze?
Nei passati 18 mesi il prezzo del petrolio è sceso del 75%, da 115 dollari al barile del toccati a giugno del 2014, fino a crollare sotto 27 dollari al barile. Alla fine del 2015, alcuni analisti prevendevano che il prezzo sarebbe risalito, riportando gli equilibri geopolitici mondiali all’assetto dei tempi d’oro del greggio, quando paesi produttori come l’Arbabia Saudita e la Russia potevano contare sul petrolio come mezzo per imporre la loro influenza nella politica mondiale. Ora è chiaro invece che non solo il prezzo del petrolio potrebbe continuare a scendere nel 2016, e probabilmente continuerà a farlo, ma anche che questa tendenza continuerà ancora, forse anche fino al 2020. In ogni caso pochi analisti si aspettano che il prezzo possa risalire prima del 2017. Anche le previsioni di quanto possa ancora scendere il petrolio sono estremamente speculative: potrebbe aver già toccato il fondo, oppure potrebbero aver ragione altri analisti, che prevedono un calo fino a 10 dollari. Ma qual’è il vero impatto di questa caduta libera sull’economia globale? Chi ci guadagna e chi ci perde?
Quando nel 1985-1986 il petrolio crollò del 70%, passando da 30 a 10 a dollari al barile molti paesi ne trassero in realtà beneficio, poiché ci fu un forte stimolo alla domanda interna e un’accelerazione nei tassi di crescita. Secondo l’Economist, un crollo del prezzo del petrolio del 10%, fa aumentare la crescita dell’0,5 - 1 in punti percentuali. Ma questa volta le cose sembrano andare diversamente. In linea di principio, un crollo del prezzo danneggia i produttori (o i paesi esportatori) e favorisce i consumatori (o paesi importatori), come il prezzo di qualsiasi altro bene.
Nella situazione attuale, il petrolio debole ha beneficiato gli importatori, dall’Europa all’Asia Meridionale, offrendo per esempio la possibilità di abbandonare i sussidi energetici e tenere a freno il deficit aumentando le tasse come nella Corea del Sud. Nell’area Euro il costo per l’importazione di petrolio è sceso del 2% del PIL dalla metà del 2014 e l’India è diventaa la più grande economia tra quelle emergenti, ad alto tasso di crescita. Anche la Cina, in quanto maggiore consumatore di petrolio al mondo (secondo il gigante petrolifero Bp, solo tra il 2008 e il 2013 il consumo di petrolio in Cina è aumentato del 35 %) ha beneficiato di un abbassamento nel prezzo del petrolio. Più complicata invece la situazione degli USA, grandi consumatori ma anche produttori.
Potenziale benefeciari della caduta del prezzo del greggio sono anche le energie rinnovabili, poiché se il prezzo rimane basso o continua a scendere, le imprese non avranno più convenienza nel produrre questa fonte di energia, tanto più che molti paesi (gli USA in primi) hanno investito in tipologie estrattive alternative piuttosto costose.
Chi invece è seriamente danneggiato dal basso prezzo sono i paesi produttori ed esportatori, in primis Nigeria, Arabia Saudita, Russia, Venezuela e Brasile, i quali hanno costruito delle economie estremamente dipendenti dall’oro nero (nonchè un forte consenso politico) e che ora si trovano in gravi difficoltà. Basti pensare che in Nigeria, il 75% delle entrate dello stato dipende dal petrolio, in Russia il 50%, in Venezuela il 40%. Ma il crollo colpisce in generale tutte le grandi compagnie petrolifere e l’indotto da loro creato (fornitori, gestori di piattaforme, aziende di trasporti). Secondo una classifica della società di ricerca e consulenza britannica Wood Mackenzie, tra le dieci più grandi compagnie petrolifere del mondo compaiono, oltre le compagnie nazionali dei paesi citati in precedenza, la Exxon Mobil (4° posto, la più grande impresa petrolifera privata, USA), la BP (7° multinazionale britannica) e la Royal Dutch Shell (8° posto, multinazionale olandese).
Anche le energie rinnovabili potrebbero essere annoverate tra i perdenti nella corsa al ribasso del prezzo del petrolio se l’effetto sui produttori fosse controbilanciato e superato da un effetto sui consumatori, che con la diminuzione del prezzo sono portati a considerare il petrolio come una risorsa più conveniente rispetto ad altre forme “pulite” di energia.
Il problema, nella situazione attuale, è che l’economia globale non riesce a beneficiare quanto dovrebbe del ribasso sul prezzo del petrolio. L’economia mondiale è in una fase di stagnazione in cui sta ancora affrontando le conseguenze del crollo finanziario del 2007, la domanda energetica è tiepida anche perché grandi consumatori come la Cina rallentano, e i fornitori non riescono ad adattare la produzione al calo della domanda. Il crollo dei ricavi dalla vendita di petrolio potrebbe portare instabilità politica in diversi aree fragili del mondo, come il Venezuela e il Medio Oriente, e il generale nervosismo dei mercati non fa presagire nulla di buono.
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