Cos’è un rave?

Giorgia Bonamoneta

18/08/2021

18/08/2021 - 22:21

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Musica, correnti artistiche, scultura, graffiti, libri, film, serie tv. La cultura dei rave party, meglio definiti come free party, è ormai stata normalizzata. Ma cosa sono e cosa erano i rave?

Cos’è un rave?

Parlare di rave (per esattezza “free party”) non è mai semplice. L’aspetto culturale, la nascita di sottoculture e l’influenza che queste hanno avuto e hanno tutt’oggi sulla cultura normalizzata, viene messo da parte per puntare il riflettore contro gli aspetti negativi.

È di pochi giorni fa la notizia del ritrovamento nel lago di Mezzano del corpo di un giovane venticinquenne ravers. Come questa, molte altre notizie su casi di morte, sporcizia e disturbo della quieta pubblica trainano la narrazione dei free party.

Ma cos’è un rave, cos’è un free party? In questo articolo cercherò di spiegare la sottocultura che c’è dietro i free party, come sono nati e cosa hanno significato negli anni 80-90. Da outsider dei free party, ma rispettosa della cultura underground, posso solo abbozzare il quadro di una sottocultura decennale e che ha coinvolto centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo.

Cosa significa ‘rave’?

Partiamo dal significato della parola. La Treccani semplifica di molto il significato del termine rave party, lo fa derivare dall’inglese e lo traduce come“ festa di delirio”. Ovviamente non basta a descrivere il fenomeno, quindi scendiamo nel dettaglio.

Rave party deriva dall’inglese sì, ma in particolare da verbo “to rave”, ovvero entusiasmarsi, andare in delirio o anche recriminare. Da questo ultimo uso possiamo iniziare a spiegare il fenomeno senza pregiudizi.

Il primo Rave party (postumo)

La narrazione giornalistica e politica del fenomeno dei rave party non è mai stata molto giusta. Ogni qual volta si parla di “feste illegali” compare tra le righe il pregiudizio e il giudizio, basta leggere i titoli dai toni allarmisti come “Paesino assediato per tre giorni”.

Per capire meglio questa sottocultura è obbligatorio fare un tuffo alla fine degli anni Sessanta. Immaginiamo di essere a Woodstock, 52 anni fa, proprio in questi giorni, tra il 15 e il 18 agosto. L’aria che si respira è quella della libertà e le conseguenze di quell’evento sulla cultura, sulla politica, sulla società e l’arte le possiamo notare ancora oggi.

Lo spirito di aggregazione dei giovani degli anni Sessanta si manifestò in tutta la sua forza e la musica divenne un megafono contro le discriminazioni, le politiche dei tagli al welfare, contro le ingiustizie, contro la guerra. Woodstock fu definito il primo rave party solo in seguito, quando il fenomeno si era diffuso in tutto il mondo.

La scena degli anni Ottanta e Novanta

Negli Stati Uniti i ravers fanno risalire la loro origine agli anni Ottanta, al crollo dell’industria automobilistica e alla chiusura di moltissime fabbriche. Sono proprio questi suoni, quelli delle fabbriche e i loro luoghi a diventare modello per la cultura rave.

In Inghilterra invece si stava vivendo il post-thatcherismo: meno risorse a sostegno delle classi più povere, disoccupazione, abbassamento della qualità della vita, caro-vita. Dal grigiore nacquero modalità di vita alternativa, come quella degli squatters (occupanti abusivi), travellers (viaggiatori) e ravers.

Soggetti nuovi e alternativi che abitavano e vivevano la città, gli spazi abbandonati e quelli all’aperto in maniera nuova. Con il tempo sono tantissimi, sempre di più e i governi iniziano ad accorgersi di loro. Più che comprendere il disagio da cui scaturisce tale cultura e apprezzarne le forme nella quale si stava evolvendo, le autorità hanno iniziato a rispondere con la repressione. E se reprimi l’arte, se osteggi i giovani cosa può succedere?

I rave degli anni Novanta erano immensi e secondi alcuni puristi furono proprio questi gli ultimi anni non contaminati della scena underground. Diamo dei numeri: all’“Avon free festival” si riunirono 10.000 persone, al “Lago Bala” 15.000, a“Kevy Hill” 20.000 e ben 50.000 persone al “Castelmorton free festival”.

Free party: musica e droga

Impossibile parlare di free party senza parlare di musica o di sostanze alteranti e stupefacenti. Ci si può perdere nella musica come forma di ribellione, di cura personale, di puro divertimento ed estasi, ma è vero anche che fin da subito ai rave party fu presente una grande quantità di sostanze.

Leggendo i racconti dei ravers o di chi si è ritrovato testimone dei free party ho capito che le droghe vengono considerate parte del gioco, parte del movimento, parte della musica.

Il cuore batte a ritmo di musica, il tempo scompare e rimane solo il terreno su cui ballare. Questa è una risposta comune dei ravers, i “nuovi deviati”, i“ nemici della tranquillità”.

Solo la tragedia: l’arte rimane in disparte

Un free party non è solo musica e droga però, è molto di più. È arte, sculture, graffiti e molto altro. Una scena urbana o naturale che per qualche ora o qualche giorno diventa altro, muta al ritmo della musica e racconta di tutti coloro che la vivono.

Della sottocultura non importa molto ai giornali o ai politici, fino a quando non ci sono degli incidenti i free party sono quasi tollerati. Non si può ovviamente far finta che non ci siano eccessi, che non esista la possibilità di violenza, di morte da overdose o per un qualsiasi altro motivo.

Demonizzare la fratellanza, il ritrovo di centinaia di giovani provenienti da tutto il mondo banalizza la sottocultura rave e ostacola il dialogo tra le forme d’arte che da sempre è esisto e continuerà a esistere.

Con buona pace dei puristi dei free party e dei conservatori che guardano dall’estero, i cosiddetti “rave” continueranno a esistere fino a quando i giovani sentiranno la necessità di ritrovarsi, ribellarsi e ballare contro una società chiusa e soffocante.

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# musica

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