Ciro Esposito non ce l’ha fatta. Il giovane tifoso napoletano ferito da un colpo di pistola probabilmente esploso da Daniele De Santis ha smesso di combattere questa mattina dopo oltre 50 giorni di ricovero all’ospedale Gemelli di Roma. Colpito ad un polmone da un proiettile artigianale qualche ora prima della finale di coppa Italia tra Fiorentina e Napoli, Ciro Esposito lascia un grande vuoto, oltre che tra i propri cari, anche nel sistema calcio, che ora deve interrogarsi su come evitare il ripetersi di un fatto simile.
Ciro Esposito non ce l’ha fatta. Il giovane tifoso napoletano ferito da un colpo di pistola probabilmente esploso da Daniele De Santis ha smesso di combattere questa mattina dopo oltre 50 giorni di ricovero all’ospedale Gemelli di Roma. Colpito ad un polmone da un proiettile artigianale qualche ora prima della finale di coppa Italia tra Fiorentina e Napoli, Ciro Esposito lascia un grande vuoto, oltre che tra i propri cari, anche nel sistema calcio, che ora deve interrogarsi su come evitare il ripetersi di un fatto simile.
Ad essere in primo piano, nella giornata del dolore, sono le parole della famiglia, che attraverso Enzo Esposito, lo zio di Ciro, attacca: “Il silenzio della nostra famiglia si contrappone al silenzio delle istituzioni. Anche oggi non si è ancora visto nessuno al Gemelli”. Un decesso, ha spiegato Massimo Antonelli, arrivato per “insufficienza multiorganica non rispondente alle terapie mediche e di supporto alle funzioni vitali".
Ma parlare di questa tragedia vuol dire anche indagarne le cause e capire se si sarebbe potuto, o si potrà, evitare il peggio. Ci si dovrebbe chiedere perché alla vigilia di una partita di calcio ci si prepari caricando un arma o studiando il posto migliore per "incontrarsi" tra tifoserie. O ancora, chi consenta l’ingresso nello stadio di bombe e fumogeni, quando al tifoso occasionale viene tolto anche il solo tappo della bottiglietta d’acqua, che potrebbe risultare pericoloso se lanciato dagli spalti.
La connessione tra tifo organizzato e squadre è, quindi, solo la conseguenza di un sistema che non funziona. Se in Inghilterra si è riuscita ad arginare - con il tempo - la piaga hooligans ed in Spagna si vieta per tutta la vita di entrare nello stadio a chi si rende protagonista di gesti razzisti (come il lancio della banana verso il giocatore del Barcellona, Daniel Alves) vuol dire che se ci sono volontà e giuste regole qualcosa si può fare.
La tanto osteggiata tessera del tifoso, introdotta dall’allora ministro dell’interno Roberto Maroni, poteva essere un primo passo ma, dopo in paio d’anni di tira e molla è stata depotenziata, cedendo alla logica della contrattazione che spesso viene utilizzata nel nostro paese anche quando servirebbero misure ferme.
Proprio da qui bisognerebbe ripartire, e su un doppio binario. Da un lato regole inflessibili e pene certe all’interno e fuori degli stadi, laddove i fatti peggiori accadono. In secondo luogo, prevenzione sui più giovani e programmazione a lungo termine. Solo così, quando si vedranno i frutti di questo lungo lavoro, si potrà sperare che la morte di un giovane come Ciro Esposito non sia stata vana.
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