Cambio di mansione del lavoratore subordinato: quando è consentito?

Manuela Margilio

2 Settembre 2014 - 14:30

L’attribuzione di mansioni diverse è giustificato solo in caso si interventi di riorganizzazione all’interno dell’azienda.

Cambio di mansione del lavoratore subordinato: quando è consentito?

Con la sentenza n. 11395 del 22 maggio 2014 la Corte di Cassazione interviene in materia di mutamento delle mansioni di un lavoratore subordinato, sancendone la liceità in presenza di esigenze di ristrutturazione aziendale.
Con una interpretazione estensiva dell’art. 2103 del codice civile, la Corte ritiene che il divieto di demansionamento del prestatore di lavoro non viene violato poichè in caso di riorganizzazione dell’azienda il mutamento di mansioni del lavoratore può ritenersi legittimo.

Cosa dice la legge
Sulla base di quanto disposto dall’art. 2103 del codice civile, norma di riferimento in materia, il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto e contrattualmente stabilite; in caso di cambiamento, deve trattarsi di mansioni corrispondenti ad una categoria superiore o equivalente e ciò non può comunque comportare una diminuzione di retribuzione, requisito indispensabile. Viene sancito dunque il divieto di demansionamento ovvero di adibire il lavoratore a mansioni non equivalenti e dunque inferiori.
Tale disposizione individua un limite esterno al potere del datore di lavoro di disporre della prestazione del proprio lavoratore, riconoscendo come prevalente l’interesse del dipendente al mantenimento delle mansioni per le quali è stato assunto.
Eventuali cambiamenti di mansioni devono garantire al lavoratore il mantenimento della retribuzione.

Vediamo cosa succede in caso di attribuzioni di mansioni inferiori. La norma sottolinea che il lavoratore può essere trasferito da un’unità produttiva ad un’altra solo in presenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. E’ su questo punto che interviene la Cassazione.

Interpretazione della Suprema Corte
La Suprema Corte, di fronte al caso di un lavoratore al quale venivano assegnati compiti diversi da quelli stabiliti nel contratto di lavoro, ritiene lecito il cambiamento suddetto.

Il legislatore riconosce un potere organizzativo in capo al datore di lavoro che può giustificare una modifica delle mansioni inizialmente assegnate e un cambiamento del luogo di lavoro, sia pure nel rispetto dei limiti posti a tutela del prestatore di lavoro.

Secondo quanto statuito dalla Cassazione la norma sopra citata deve essere interpretata tenendo conto di un bilanciamento di interessi, da un lato il diritto del datore di lavoro a perseguire un’organizzazione aziendale che sia produttiva ed efficiente, dall’altro il diritto del lavoratore al mantenimento del posto di lavoro. Ne consegue che, di fronte a sopravvenute e legittime scelte compiute dal datore di lavoro comportanti interventi di ristrutturazione, l’adibizione del lavoratore a mansioni diverse, anche inferiori, a quelle precedentemente svolte, non si pone in contrasto con il dettato del codice civile, in presenza di un identico livello retributivo.

Nel caso trattato la Suprema Corte non ritiene configurabile un danno a carico del lavoratore che viene collocato in una posizione differente, poiché vengono garantiti professionalità e medesima retribuzione.

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