Bad Bank e svalutazione sofferenze: cosa succederebbe a Intesa, Unicredit e Mps?

Michele Belluco

26/01/2016

Bad bank: cosa succederebbe se le sofferenze di Intesa San Paolo, Unicredit e MPS venissero svalutate dell’82% come nel caso delle quattro banche fallite?

Bad Bank e svalutazione sofferenze: cosa succederebbe a Intesa, Unicredit e Mps?

Il Governo italiano in questi giorni sta valutando l’opportunità di creare una bad bank su cui “girare” tutti i crediti “difficili” (le cosiddette sofferenze o “bad loans”) di cui le banche, purtroppo, hanno pieni i loro bilanci.

Con la massima semplicità cercheremo di capire:

Cosa succederebbe se le sofferenze di Intesa San Paolo, Unicredit e MPS venissero svalutate dell’82% come nel caso delle quattro banche fallite?

Partendo dal primo punto va subito fatto presente che l’attuale contesto normativo, deciso a livello europeo e ratificato dall’Italia, vieta gli aiuti di Stato alle banche.
Li vieta adesso; è opportuno, infatti, avere la consapevolezza che, come pubblicizzato dallo stesso Ministero delle Economia e delle Finanze, dal 2007 al 2013, mentre il resto d’Europa ricorreva ad imponenti salvataggi bancari con soldi pubblici, i rappresentanti di Governo italiani si “pavoneggiavano” vantando la solidità dei nostri istituti di credito e spesando solo circa 4 miliardi di euro per il caso più eclatante, ovvero Monte Paschi (tra l’altro tutti rimborsati); tanto per avere qualche termine di paragone, la vicina Germania, nello stesso arco temporale, ha versato, a sostegno delle proprie banche, quasi 250 miliardi di euro.

La bad bank delle quattro banche fallite

Passiamo ora al secondo punto ovvero a come è stata creata la bad bank a cui sono state girate le sofferenze di Banca Marche, Carichieti, Carife e Banca Etruria.
E’ la stessa Banca d’Italia a pubblicare come “contabilmente” si sono svolte le cose.

Fonte: Banca d’Italia

Fonte: Banca d’Italia

Primo aspetto da chiarire è che la “banca cattiva” (bad bank) è, nonostante il nome, un istituto privo di licenza bancaria, a cui sono stati conferiti i prestiti in sofferenza delle quattro banche salvate.
Tali prestiti, del valore originario di 8,5 miliardi, sono stati svalutati a 1,5 miliardi (ovvero dell’82%).
Come si nota dal bilancio sopra riportato, la bad bank ha all’attivo i prestiti in sofferenza per 1,5 miliardi ed al passivo, per pari importo, un debito verso le banche-ponte, ovvero le nuove quattro banche che, sotto la presidenza del Dott. Nicastro (ex Direttore generale di Unicredit), verranno al più presto cedute a specialisti del recupero crediti.

  • Se da questa operazione incasserà 1,5 miliardi, questi verranno girati alle 4 banche-ponte (ovvero Nuova Banca Marche, Nuova Carichieti, Nuova Carife e Nuova Banca Etruria);
  • se incasserà più di 1,5 miliardi, il maggior importo verrà trattenuto dal Fondo di Risoluzione, un fondo previsto dalle norme europee ed italiane, amministrato dall’Unità di Risoluzione della Banca d’Italia, ed alimentato con le contribuzioni di tutte le banche del sistema;
  • se incasserà meno di 1,5 miliardi, la differenza verrà coperta dal Fondo di Risoluzione (ovvero dal sistema bancario).

Da ciò si ricava che, qualora il pacchetto sofferenze venga venduto ad un valore maggiore di 1,5 miliardi, non è prevista la corresponsione della differenza (neppure parzialmente) a ristoro né degli obbligazionisti né degli azionisti delle vecchie banche.

Soffermiamoci ora su alcuni punti cruciali per capire:

  • se è normale prassi che le sofferenze bancarie siano svalutate dell’82% (tecnicamente si parla di “rettifiche di valore”);
  • chi ha pagato il “costo” di tale svalutazione;
  • se è da augurarsi che una soluzione analoga a quella presa per Banca Marche, Carichieti, Carife e Banca Etruria, venga presa anche a livello “nazionale”.

Bad bank: e se accadesse a Intesa SanPaolo, Unicredit e Mps?

Per rispondere al primo punto, analizziamo le rettifiche di valore accumulate sui crediti in sofferenza in rapporto ai crediti in sofferenza lordi con la clientela, presenti nei resoconti intermedi al 30/09/2015 di:

  • Intesa SanPaolo: 62,8%,
  • Unicredit: 61,4%;
  • Mps: 64%.

Appare quindi evidente che o i tre maggiori istituti bancari del nostro Paese svalutano troppo poco le sofferenze, oppure le sofferenze di Banca Marche, Carichieti, Carife e Banca Etruria sono state eccessivamente rettificate.

Ovviamente una maggiore svalutazione di un credito si concretizza in una perdita, ovvero in un calo del patrimonio della banca; ed è stato proprio per questo motivo che le azioni e le obbligazioni subordinate dei quattro istituti bancari sono state azzerate: per coprire quelle perdite dovute alle maggiori svalutazioni delle sofferenze in portafoglio.
Cosa sarebbe successo se anche Intesa SanPaolo, Unicredit e Mps avessero svalutato le loro sofferenze all’82%? Nella tabella sottostante la risposta.

. Sofferenze Lorde in MLD di € Rettifiche di valore al 30/09/15 in % Rettifiche di valore al 30/09/15 in MLD di € Rettifiche di valore all’82 % in MLD di € Differenza in MLD di €
Intesa San Paolo 39 62.80% 24.5 32.0 -7.5
Unicredit 50.6 61.40% 31.1 41.5 -10.4
Mps 26.3 64.00% 16.8 21.6 -4.8

Cifre importanti che ovviamente avrebbero l’effetto di indebolire il patrimonio delle tre banche; ed ormai tutti sappiamo quanto sia importante, per un risparmiatore che affida il proprio denaro ad un istituto di credito (c/c, libretti, certificati di deposito ed obbligazioni), scegliere una banca patrimonialmente solida per non incorrere nel famigerato bail in bancario.

La tabella sottostante, edita dalla Banca d’Italia, ci avvisa che a giugno 2015 il sistema bancario aveva nel suo complesso 207 miliardi di sofferenze lorde, coperte (ovvero svalutate) in media al 58,7 %,

Una copertura all’82% avrebbe voluto dire svalutarle di un ulteriore 23,3%, ovvero di poco più di 48 miliardi.
E per i primi 5 gruppi bancari, che avevano 133 miliardi di sofferenze lorde ed un tasso di copertura del 59,3%, portarlo al 82% avrebbe voluto dire accantonare altri 30 miliardi.
Visto che utili di quella portata non ce ne sono, ciò comporterebbe una significativa erosione del patrimonio. Chiaro?

Fonte Banca d’Italia – Rapporto sulla stabilità finanziaria, novembre 2015

Alternativa alla bad bank a cui conferire le tanto odiate sofferenze, per poi venderle a dei professionisti del recupero crediti, è la loro “cartolarizzazione”.

Brevemente ciò significa che la banca che si vuole liberare di questi sgraditi “ospiti” crea una società ad hoc a cui cede i crediti in questione (e le relative garanzie).
A che prezzo si perfezionerà la cessione? Che svalutazioni dovrà fare la banca cedente? Che impatto avranno queste rettifiche di valore sui bilanci della banca?
Rispondendo a queste semplici domande si capisce subito che anche adottando questa soluzione, tali problemi permangono.

La società creata ad hoc emetterà poi delle obbligazioni con un valore nominale inferiore a quello di tali crediti e pagherà le cedole con le rate dei mutui che riceverà.

Il caso della cartolarizzazione dei mutui è il più frequente ma possono essere inserite anche altre forme di attivi; ricordiamo tra questi i crediti al consumo, i leasing, le carte di credito revolving, ecc…

Va da sé che un’operazione del genere rischia di diventare una “bomba” pronta ad esplodere nel caso in cui vengono ceduti “pacchetti” di sofferenze bancarie.

Verrebbero messi in circolazioni dei titoli obbligazionari con sottostante delle “spazzature” con seri problemi nel rispettare gli impegni presi.

La crisi dei subprime scoppiata negli Stati Uniti nel 2007 “dovrebbe” averci insegnato qualcosa; ma si sa che la memoria è corta.
Non ci resta che attendere e sperare che nessuna delle due “ipotesi” analizzate in queste articolo trovi concretezza.

Altrimenti saranno seri guai.

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