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BCE, il Quantitative Easing e i suoi effetti politici: il QE potrebbe determinare la fine dell’Europa?
giovedì 22 gennaio 2015, di
Oggi è il giorno fatidico in cui Mario Draghi dovrebbe annunciare il quantitative easing la misura di politica economica su cui la BCE riflette da molto, forse troppo, tempo per salvare l’Eurozona dalla deflazione e perseguire l’obiettivo statutario di un’inflazione prossima al 2%.
Tutti sanno ormai che il QE è un’intervento che, attraverso l’immissione di liquidità nel sistema bancario europeo, dovrebbe consentire di acquistare i titoli di stato dei vari Paesi dell’Unione e di assegnare a ciascun Paese denaro fresco da far circolare nelle singole economie, in varie forme.
In questi giorni si sono susseguiti i dubbi, le incertezze e le indiscrezioni su molti aspetti del quantitative easing, ma al di là di quelle che potrebbero essere le specifiche caratteristiche, è opportuno considerare anche quali potrebbero essere le conseguenze sull’unione europea e sulla sua tenuta nel 2015.
I margini dell’intervento
Al vaglio del consiglio direttivo della BCE sarebbero state molte le possibili varianti da stabilire in queste ultime settimane, consideriamo le più importanti, insieme alle ultime indiscrezioni circolate tra le agenzie di stampa:
- Acquistare solo titoli di stato con rating AAA (solo i titoli degli stati economicamente più solidi) o anche i titoli di stato con rating pari o superiore a BBB- (investment grade);
- Acquistare solo i titoli di stato dei Paesi che rispettano, o che sono più prossimi al rispetto, degli accordi comunitari sul bilancio statale ovvero il fiscal compact, il rapporto deficit/PIL al 3% e il rapporto debito/Pil al 60%;
- Acquistare la stessa quantità di titoli per ciascuno stato dell’Unione Europea o acquistare titoli in quantità proporzionale alle quote di partecipazione delle singole banche centrali alla BCE;
- Acquistare titoli per quale importo? Inizialmente si era parlato di un quantitative easing da 2000-3000 miliardi di euro, più recentemente l’intervento è stato ridimensionato a 500 miliardi di euro e, ancora, negli ultimi giorni si sono susseguite voci che hanno parlato di un’intervento variabile tra i 600 e i 1000 miliardi;
- I titoli di Stato saranno acquistati direttamente dalla BCE o lo faranno le singole banche centrali in sua vece? La seconda ipotesi sembra, in questo caso quella più accreditata, perché non intaccherebbe direttamente il bilancio europeo e sarebbe caldeggiata dalla Germania;
- Acquistare titoli da quando e per quanto tempo? Anche in questo le voci circolate nelle ultime ore sono pressoché infinite, e tutte non commentate dalla BCE: si parla di un intervento da 50 miliardi di euro al mese di titoli di Stato che potrebbe partire da Marzo e che potrebbe durare per almeno un anno secondo alcuni (Wall Street Journal) o fino alla fine del 2016 secondo altri (Bloomberg);
Gli effetti sull’Europa e sulla sua tenuta
Il quantitative easing è un intervento divenuto ormai quasi leggendario: se ne parla da quasi tre anni, da quando Draghi pronunciò il famoso "Whatever it takes", la promessa di fare tutto il necessario che per molto tempo è bastata da sola a tenere buoni i mercati, almeno finché non si è incominciato a concretizzare un spettro più potente, quello della deflazione. Il mese scorso, infatti, l’indice dei prezzi al consumo dell’Europa ha segnato un -0,2%, un valore questo che ha confermato una convinzione propria ormai di molti, ovvero che il quantitative easing non sarà sufficiente a riportare l’inflazione verso il target del 2% previsto dalla Bce. A tal proposito alcuni membri dell’OCSE hanno recentemente notato come il quantitative easing non dovrebbe avere una scadenza prefissata ma dovrebbe andare avanti per tutto il tempo necessario ad alzare l’inflazione e a far riprendere l’economia.
Il problema centrale del QE, piuttosto del quando e del per quanto è il "come": nei margini di intervento segnalati sopra si configurano varie ipotesi nella migliore di esse (acquisto di titoli proporzionale alle quote di partecipazione delle singole banche centrali alla BCE) tutti i Paesi dell’Eurozona potrebbero trarre un qualche beneficio da questo intervento. Non sarebbe la panacea di tutti i mali prodotti dalla crisi ma costituirebbe almeno una carta in più da poter giocare nei singoli scenari nazionali.
Nelle modalità di applicazione peggiori, qualora dovessero essere acquistati solo titoli di stato con rating AAA o con rating BBB-, resterebbero comunque escluse dall’intervento Grecia e Cipro e, se dovessero essere chiamati in causa anche i vincoli di bilancio e il fiscal compact, l’esclusione dall’intervento potrebbe essere estesa anche a tutti i PIGS, Italia compresa.
Nello scenario internazionale è proprio quest’ultima incognita quella più preoccupante: se l’intervento della BCE dovesse essere messo in campo oggi avrebbe in ogni caso un effetto sulle elezioni Greche di domenica prossima. Occorre poi ricordare che in Grecia si sono già concretizzati i primi segnali di tensione con migliaia di correntisti che hanno ritirato il loro denaro dalle banche. Nel caso greco, insomma, un QE mal calibrato potrebbe, insomma, dar vita a una serie di reazioni a catena di cui nessuno conosce la reale portata (dalla vittoria di Syriza a una possibile uscita della Grecia dall’Europa).
Il caso greco è però, solo il primo dei molti tasselli che potrebbero cadere se il QE non dovesse andare in soccorso delle esigenze dei Paesi dell’Eurozona che negli ultimi anni hanno pagato alla il prezzo più alto della crisi. E la politica potrebbe rivelarsi in tal senso decisiva dal momento che nei prossimi mesi sono in calendario elezioni politiche in Portogallo, Spagna e Irlanda, dove si stanno affermando sempre più prepotentemente i partiti di una sinistra radicale che chiede, se non l’uscita dall’Euro, almeno la revisione delle regole fiscali europee.
Il QE però potrebbe giocare anche un ruolo altrettanto decisivo sul nord europa dove l’effetto è uguale e contrario: secondo l’Economist i partiti della destra ultrascettica, a partire dalla britannica Ukip, acquisteranno sempre maggiore consistenza nel 2015, spingendo su un argomento su cui si trovano tutti d’accordo: l’uscita dall’euro. Utilizzare in modo ponderato e consapevole le risorse ottenute da ogni singolo Stato dal QE potrebbe essere, allora, anche una delle ultime occasioni per garantire la tenuta dell’Europa unita.
