Asia: economie tra le più stabili al mondo. C’è da preoccuparsi?

Erika Di Dio

23 Novembre 2012 - 15:24

Asia: economie tra le più stabili al mondo. C’è da preoccuparsi?

Qualche giorno fa l’Economist ha proposto un interessante articolo sulle economie asiatiche e su come queste siano alcune delle economie più stabili al mondo. Ad esempio. il Laos, un paese povero di 6.288.037 abitanti incuneato tra il Vietnam e la Thailandia, senza aperture verso il mare, sta ora godendo di un raro momento di prosperità. Lo scorso mese ha ottenuto l’approvazione per entrare a far parte dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, meglio conosciuta con il suo nome inglese World Trade Organization (WTO); il tasso di crescita del Laos non è solo uno dei più veloci al mondo, ma anche uno dei più stabili.

Dal 2002 al 2011 la crescita ha oscillato in un intervallo molto ristretto, non scendendo mai al di sotto del 6,2% e non salendo mai al di sopra dell’8,7%. Solo tre paesi hanno registrato un tasso di crescita più stabile durante questo periodo. Due di questi sono asiatici: Indonesia e Bangladesh. La crescita nei paesi in via di sviluppo dell’Asia è ora più stabile, oltre che più veloce, rispetto alla crescita delle economie "mature" del G7; è stata più stabile nel 2002-2011 che per qualsiasi altro periodo di dieci anni dal 1988-97.

Great moderation?

"Great moderation" (grande moderazione) è il termine attribuito al periodo di tranquillità economica che ha prevalso in America e in altre parti del mondo ricco prima della crisi finanziaria. Questa etichetta dovrebbe essere applicata ora anche all’Asia?

Le economie asiatiche sono meglio conosciute per la loro velocità che per la loro stabilità. Dal 1996 al 1998, ad esempio, la crescita in cinque grandi paesi del sudest asiatico (Indonesia, Malesia, Filippine, Thailandia e Vietnam) è passata dal 7,5% a meno 8,3% appena la crisi finanziaria asiatica ha colpito. Ancora oggi alcune economie molto aperte, come la Thailandia, Singapore e Taiwan, restano più volatili rispetto alla media mondiale. Esposte ai flussi commerciali internazionali, la loro produzione industriale fluttua come un nastro al vento ad ogni contrazione della domanda.

Ma l’Asia in via di sviluppo (che esclude le economie ricche come Hong Kong, Singapore, Corea del Sud e Taiwan) è dominata da paesi popolosi che fanno affidamento sempre più sulla domanda interna per guidare la loro economia. Le esportazioni sono scese dal 35% del Pil dieci anni fa a meno di un quarto nel 2011. I surplus combinati delle partite correnti dell’Asia in via di sviluppo, che riflettono la sua dipendenza dalla domanda estera, si sono più che dimezzati dal 2008 al 2011 e si prevede un ulteriore calo quest’anno.

La crescita del credito

Una cosa che fa preoccupare è che la Great Moderation asiatica è stata accompagnata da una forte crescita del credito. Secondo Freud Neumann di HSBC (uno dei più grandi gruppi bancari del mondo, n.d.r.) il leverage è ora più alto che in qualsiasi altro periodo dalla crisi finanziaria asiatica.

Questa espansione del credito potrebbe rappresentare un sano "financial deepening", che molti economisti credono sia una delle cause della crescita e della stabilità. Ma un leverage in aumento può anche essere una minaccia alla stabilità. L’economista americano Hyman Mynsky, insieme ad altri, ha sostenuto che cali della volatilità consentono alle imprese e alle famiglie di prendere in prestito più di quanto esse investono. Secondo la formulazione di Mynsky, la stabilità alla fine diventa destabilizzante.

Per fortuna, i legislatori asiatici non hanno mai condiviso la fiducia occidentale nell’auto-correzione dei sistemi finanziari .La regione ha infatti sperimentato regolamenti cosiddetti "macroprudential", volti a frenare l’eccessivo credito e i flussi di capitale anche senza alzare i tassi d’interesse.

Neumann è tuttavia scettico sul fatto che una stretta normativa possa sostituire il tipo monetario. I controlli macro-prudenziali non sono infallibili, egli osserva. Se le autorità di regolamentazione impediscono acquisti esteri di proprietà, come ha appena fatto Hong Kong, gli stranieri cercheranno metodi creativi per aggirare la legge.

La libertà di Hong Kong di alzare i tassi è forzata dal collegamento fisso della sua valuta al dollaro, uno dei pochi ganci per sopravvivere alla crisi finanziaria asiatica. Altre banche centrali non hanno questa scusa. La flessibilità della valuta ha dato loro la libertà di tagliare i tassi non appena la crescita rallenta. Dovrebbe anche permettere loro di alzare i tassi quando incombe la minaccia di un eccesso finanziario, anche se i tassi rimangono vicino allo zero in America, Europa e Giappone. Se la crescita stabile permette ai creditori o ai debitori di spingersi oltre le proprie disponibilità potrebbe "gettare i semi della propria distruzione", dice Neumann. Non una buona notizia.

Traduzione italiana a cura di Erika Di Dio. Fonte: Economist

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