La Corte Suprema di San Diego ha autorizzato l’azione collettiva contro il gigante americano. Quasi 21000 i dipendenti interessati.
Tutto è cominciato con quattro dipendenti di Apple che nel 2011 avevano denunciato il colosso con una vertenza sindacale su un controversia lavorativa. Tra le scorrettezze elencate troviamo pause pranzo non adeguate, stipendi giunti in ritardo e pause di lavoro negate. Lunedì il giudice della Corte Suprema di San Diego ha promosso la vertenza a class action, cioè ad azione legale collettiva, classificazione piuttosto difficile da ottenere e mai rilasciata a cuor leggero. Sarebbero dunque quasi 21000 i dipendenti ed ex dipendenti che si trovano coinvolti nell’arco degli ultimi quattro anni.
A più di 48 ore dal verdetto, Apple non ha ancora rilasciato nessun commento ufficiale e il silenzio stampa imposto continua. Jeffrey Hogue, legale dei querelanti, dichiara che "non ci aspettiamo un commento in tempi brevi, quel che ci interessa è che la vertenza sia stata certificata, siamo convinti che ne usciremo vittoriosi".
In tribunale son state portate le prove a testimoniare le mancanze di Apple: dopo le prime cinque ore di lavoro l’azienda deve garantire una pausa pranzo o un’ora di retribuzione straordinaria nel caso venga saltata la pausa. Ancora, i dipendenti licenziati non avrebbero ricevuto nell’arco del termine legale il loro ultimo stipendio.
A peggiorare le cose i querelanti parlano di una politica interna "del terrore", dove i dipendenti vengono caldamente invitati a non discutere e far trapelare notizie sulle loro condizioni di lavoro, pena il ritrovarsi senza lavoro, denunciati o costretti a seguire un programma disciplinante.
La richiesta dei legali è semplice: una volta accertate le mancanze di Apple, verrà richiesto un rimborso a cui si andranno ad aggiungere eventuali interessi, al momento non meglio specificati.
Vi terremo aggiornati sugli sviluppi dell’azione legale e su quanto intrapreso dalle parti coinvolte.
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