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di Glauco Maggi

L’aborto negli USA, legale o illegale? La parola va alla Corte Suprema

Glauco Maggi

7 dicembre 2021

L'aborto negli USA, legale o illegale? La parola va alla Corte Suprema

Torna al centro del dibattito giuridico e politico in America: l’aborto. Dopo quasi mezzo secolo dalla storica decisione della Corte Suprema, si rimette tutto in discussione.

L’aborto torna prepotentemente al centro del dibattito giuridico e politico in America, a quasi mezzo secolo dalla decisione dei giudici della Corte Suprema i quali, nel celeberrimo caso Roe V. Wade, stabilirono che l’interruzione della gravidanza era un diritto costituzionale.

E ciò rese nulle le leggi statali che in ben 46 Stati ne avevano fino a quel momento regolato l’esercizio, con vari gradi di restrizioni. (Roe è il nome di fantasia della donna, Norma Leah Nelson McCorvey, che, non potendo abortire in Texas dove era vietato per legge, fece causa a quello Stato nella persona del suo rappresentante legale, il district attorney Henry Wade).

L’anno era il 1973, e il clima politico d’allora, segnato dall’avvento del femminismo (“il corpo è mio e me lo gestisco io”) partorì, attraverso il verdetto di una maggioranza di sette giudici contro due, una vexata quaestio che avrebbe garantito al Paese una battaglia politica eterna tra l’America pro life (pro vita) e l’America pro choice (pro scelta, termine usato per enfatizzare il diritto della donna ed evitare il diretto riferimento al sacrificio del feto). Eterna, quindi sempre aperta. Con i tre giudici nominati da Trump, che hanno dato al collegio supremo una maggioranza conservatrice (sei contro tre, almeno sulla carta), il conflitto sull’aborto era destinato a riaprirsi, e così è puntualmente avvenuto.

Uno Stato del sud, il Mississippi, la cui legislatura è controllata dai Repubblicani, aveva approvato nel 2018 la legge HB 1510 (The Gestational Age Act), che vieta tutti gli aborti dopo la quindicesima settimana. Una clinica aveva fatto causa al governo locale sostenendo che questa legge era incostituzionale, e il caso è finito all’attenzione della Corte Suprema. I giudici potevano anche non accettare di discutere la vertenza, invece hanno optato per metterla nel calendario dei lavori. Il verdetto è atteso per la fine dell’anno giudiziario in corso, nell’estate del 2022.

Aborto legale o aborto illegale: in attesa del verdetto

Il procedimento si è aperto mercoledì scorso con le prime sedute ufficiali pubbliche, durante le quali gli avvocati delle due parti (lo Stato del Mississippi e la clinica per aborti Jackson Women’s Health Association) hanno esposto le loro argomentazioni ai giudici, che hanno potuto fare le loro domande per prepararsi al verdetto da deliberare.

Chi pensasse che al centro della disputa c’è un semplice, anche se cruciale, dubbio da sciogliere - aborto legale o aborto illegale - sarebbe fuori strada. I conservatori sono inclini alla lettura fedele, «originale», della Costituzione e ricordano che la Carta non prevede alcun diritto all’aborto. Quindi, fedeli allo spirito dell’America come federazione di Stati, sostengono che se una materia non è stata espressamente trattata nella Costituzione dev’essere lasciata agli Stati. Cioè ai parlamenti locali e alla volontà degli elettori.

Gli avvocati pro choice ribattono che l’aborto è un diritto costituzionale, espresso nelle pieghe del 14esimo Emendamento del 1868. Quest’ultimo stabilisce che “nessuno Stato negherà a qualsiasi persona all’interno della propria giurisdizione una eguale protezione della legge”.

Cioè, se una donna può abortire quando vuole in California, lo stesso diritto non le può essere negato nel Mississippi, affermano gli abortisti. Ma l’argomento è stato respinto dal giudice supremo Samuel Alito, che ha puntualizzato come nel 1868 l’inserimento della clausola della eguale protezione non potesse significare il diritto di abortire per i legislatori di quel tempo. L’intento del 14esimo emendamento, fatto passare dal Congresso controllato dall’Unione immediatamente dopo la vittoria contro i Confederati, era di garantire la cittadinanza, e uguali diritti civili e legali, agli afro-americani e agli schiavi liberati nel corso della guerra civile.

Se i risvolti giuridici sono intricati, specialmente dopo il verdetto del 1973, la radice del dissenso tra i pro vita e i pro aborto non potrebbe essere più netta e profonda. L’America religiosa resta fedele al dettato di Papa Pio XII espresso nell’enciclica papale del 1951, quando spiegò così il sacro diritto alla vita: “Ogni essere umano, anche il bambino nel grembo materno, ha il diritto alla vita direttamente da Dio e non dai suoi genitori, non da alcuna società o autorità umana. Pertanto, non c’è alcun uomo, alcuna società, alcuna autorità umana, alcuna scienza, alcuna ‘indicazione’ sia essa medica, eugenetica, sociale, economica o morale che possa offrire o dare una giustificazione valida a una disposizione deliberatamente diretta contro una vita umana innocente.”

Sull’altro fronte, c’è il fondamento ideale della libertà di abortire come diritto personale e inalienabile della donna. Al massimo, i pro choice possono trattare sui tempi della “sopravvivenza”, come ha argomentato durante il dibattito Julie Rickelman, legale della clinica interessata al mantenimento della pratica abortiva. Secondo Rickelman, il termine temporale della sopravvivenza del feto “è oggettivamente verificabile e non bisognerebbe addentrasi dentro questioni filosofiche su quando la vita comincia”. La legale ha citato 23 o 24 settimane, una scadenza peraltro dubbia, scientificamente: Rich Lowry, giornalista conservatore, ha citato sul New York Post casi limite di neonati prematuri che sono sopravvissuti al parto nella ventunesima settimana.

Che cosa decideranno fra sei mesi circa i giudici? I liberal e la sinistra pro choice temono che il nuovo assetto più conservatore della Corte possa portare alla cancellazione del verdetto del 1973, che è una possibilità. Ma ciò non equivarrebbe alla negazione assoluta del diritto di abortire. Invece, eliminerebbe un errore giudiziario che per molti conservatori era stato commesso: il verdetto Roe v. Wade, per loro, era stato irrispettoso della volontà dei cittadini americani che non sono mai stati consultati, a livello nazionale, sulla legalizzazione dell’aborto in tutta la nazione. I cittadini avevano, e hanno, ogni diritto di legiferare sul problema della salute, e dell’aborto in particolare, a livello del proprio singolo Stato.

La filosofia caldeggiata dai conservatori non è di imporre un divieto nazionale ad abortire. A ottenere questo risultato, universale e umano oltre che politico, possono pensare i cittadini pii e le loro organizzazioni religiose, anche eleggendo deputati e senatori pro vita. In prima fila i cattolici, come dicono i papi da sempre fino a Francesco compreso. Sul versante pro aborto, va da sé, sono impegnati i partiti di sinistra.

Il fine dei conservatori è di ripristinare il regime precedente al 1973, che era il prodotto di legislazioni promosse e approvate con il voto e la scelta dei deputati e dei senatori statali. Lo Stato di New York o la California, in generale tutti gli Stati blu controllati dai Democratici, potranno sempre consentire l’aborto entro il limite secondo loro giusto, se i legislatori locali avranno il mandato dai propri elettori in questo senso. In Mississippi e negli altri Stati rossi potranno vietarlo, per esempio fino alla 15 settimana come è il caso della legge HB 1510. Dipende, insomma, dal modo di pensare più o meno «pro vita» o pro «diritto della donna», dei cittadini, Stato per Stato. Era stato il verdetto di Roe v. Wade, prodotto dell’attivismo dei giudici, a forzare la situazione.

Il caso del Mississippi permetterebbe insomma, insistono i conservatori, il ritorno a una prassi più democratica e rispettosa delle coscienze. Di tutte le coscienze. Non solo delle coscienze di coloro che credono sia corretto, su un tema tanto intimo e pregno di valori religiosi ed etici qual è la nascita di una vita umana, delegare la decisione finale alla maggioranza tra nove giudici non eletti piuttosto che affidarla al democratico processo del consenso popolare attraverso il voto. La cancellazione del verdetto Roe V. Wade sarebbe, per i conservatori, una storica sconfitta dell’attivismo progressista dei giudici.

Glauco Maggi

Giornalista dal 1978, vive a New York dal 2000 ed è l'occhio e la penna italiana in fatto di politica, finanza ed economia americana per varie testate nazionali

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