Il problema è che non potrà essere mai prelevato: ecco la scoperta dei ricercatori.
Un’importante scoperta geologica potrebbe riscrivere ciò che sapevamo sul comportamento delle profondità del nostro pianeta. Un team di geochimici guidato da ricercatori tedeschi ha individuato prove convincenti che parte del materiale contenuto nel nucleo ferroso della Terra sta lentamente risalendo verso gli strati più superficiali. Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature, apre scenari inediti sulla dinamica interna del pianeta e sulle potenzialità future di sfruttamento di risorse rare, come l’oro.
Attraverso sofisticate analisi isotopiche su metalli nobili come il rutenio e il tungsteno, i ricercatori hanno rilevato variazioni chimiche impossibili da spiegare senza considerare un flusso di materiale proveniente dall’interfaccia tra nucleo e mantello. «La nostra scoperta dimostra che il nucleo terrestre non è così isolato come si pensava in precedenza», ha dichiarato Matthias Willbold, tra i responsabili del progetto. «Abbiamo evidenziato la risalita di enormi quantità di materiale da zone profondissime della Terra, un fenomeno mai osservato prima con questa chiarezza.»
Questo materiale, che si muove verso l’alto attraverso lenti ma potenti flussi, potrebbe includere anche l’oro. Quest’ultimo è un elemento siderofilo, ovvero con una forte affinità per il ferro, e proprio per questo si è concentrato nel nucleo terrestre circa 4,5 miliardi di anni fa. In quel periodo primordiale, gran parte dei metalli pesanti è sprofondata nel cuore del pianeta, attirata dal ferro fuso e dalla gravità.
Nel cuore della Terra circa mille miliardi di tonnellate di oro
Secondo le stime, nel nucleo terrestre sono presenti circa mille miliardi di tonnellate d’oro: una quantità sufficiente a ricoprire l’intera superficie del pianeta con uno strato spesso mezzo metro. Tuttavia, il 99,6% di questa ricchezza è oggi inaccessibile, situato a circa 2.900 chilometri di profondità. Solo lo 0,01% dell’oro terrestre si trova nella crosta, quella sottile fascia rocciosa su cui viviamo e scaviamo, rendendo questo metallo tanto prezioso quanto raro.
«Quando sono arrivati i primi dati, ci siamo resi conto che avevamo letteralmente trovato l’oro», ha raccontato con entusiasmo il geochimico Nils Messling, altro protagonista della scoperta. Il valore scientifico della ricerca, però, va ben oltre la questione economica: dimostra che il sistema interno del nostro pianeta è molto più dinamico e interconnesso di quanto si ritenesse.
Questa nuova comprensione potrebbe cambiare radicalmente l’approccio allo studio del mantello terrestre, suggerendo che in futuro, magari con tecnologie avanzate non ancora disponibili, sarà possibile intercettare queste risalite di metalli preziosi. Oggi l’oro emerge occasionalmente in superficie grazie a fenomeni vulcanici e alla tettonica delle placche, ma sapere che la sua origine potrebbe risalire addirittura al nucleo offre una prospettiva affascinante.
Oro, rutenio, tungsteno e altri elementi siderofili non sono solo parte della storia chimica della Terra, ma anche della nostra. Dai gioielli alle monete, dai riti religiosi alle moderne tecnologie, questi metalli hanno segnato la civiltà umana. Ora sappiamo che ciò che brilla potrebbe arrivare dal luogo più profondo e inaccessibile del pianeta: il suo cuore incandescente.
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