Shrinkflation: che cos’è e come funziona

Pierandrea Ferrari

19 Agosto 2021 - 16:09

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Da tempo si sente parlare di una nuova tecnica di marketing, la shrinkflation. Di cosa si tratta esattamente? Ecco una guida.

Shrinkflation: che cos’è e come funziona

Che cos’è la shrinkflation? Si tratta di una nuova tecnica di marketing utilizzata dalle aziende per massimizzare i profitti.

Il termine è stato coniato fondendo insieme le parole shrinkage, ovvero contrazione, e inflation, rincaro. Di base, con shrinkflation si definisce una tecnica di marketing a cui le grandi aziende, nazionali e internazionali, ricorrono sempre più spesso per incrementare i margini di profitto.

Di seguito una breve descrizione del fenomeno e alcuni esempi di beni di largo consumo che sono stati interessati dalla pratica della shrinkflation, unitamente a una analisi delle controversie che quest’ultima sta alimentando a livello internazionale.

Cos’è la shrinkflation?

Come suggerisce lo stesso termine, che lega insieme i concetti di contrazione e rincaro, la shrinkflation è di fatto un processo di riduzione delle dimensioni dei beni di largo consumo, con prezzi che restano tuttavia invariati e, in alcuni casi, vengono persino ritoccati verso l’alto.

Nella maggior parte dei casi questa riduzione non interessa direttamente la dimensione di un prodotto, ma piuttosto le unità di quel prodotto inserite in una confezione. Ad esempio, il numero di biscotti o di fazzoletti in un pacco. In altri casi, tuttavia, è la stessa dimensione del prodotto a variare, come i grammi di cioccolato, miele, zucchero o confetture nei rispettivi contenitori.

Con questa tecnica, in breve, le aziende fanno fronte alla crisi dei consumi, aggravata dalla pandemia. Vendere un prodotto di dimensioni ridotte rispetto al passato, ma allo stesso prezzo, permette infatti di assicurarsi un margine di profitto più ampio, e spesso senza che il consumatore riesca a notare la differenza, visto che in molti casi di tratta di una variazione minima. Con un impatto non indifferente, però, su scala industriale.

Dal Toblerone alla Coca-Cola, i prodotti “rimpiccioliti”

Alcuni esempi, che riguardano sia i prodotti ridotti nelle dimensioni che quelli ridotti nel numero: il Toblerone, barra di cioccolato prodotta da Kraft, è passata da 200 a 170 grammi nel 2010, per poi scendere a 150, segnando un -25% alla voce quantità rispetto all’originale nel 2016. Anche la versione maxi da 400 grammi è stata ridotta a 360.

Altri esempi sono quelli della cioccolata Milka, passata nella sua confezione standard da 300 a 270 grammi, la Coca-Cola, con la bottiglia da 2 litri ora scesa a 1,75, i Kellog’s Coco Pops e il Magnum e il Cornetto Algida, tutti più “leggeri” rispetto al passato.

Non sempre, tuttavia, le aziende riconoscono i motivi della riduzione delle dimensioni: Kellogg, ad esempio, ha giustificato il taglio del peso dei Coco Pops con la diminuzione dello zucchero presente nella confezione, mentre Unilever - proprietaria del marchio Algida - ha parlato della necessità di rivedere al ribasso l’apporto calorico dei gelati.

La reazione delle istituzioni alla shrinkflation

Al di là di alcuni casi particolari, come gli ultimi due citati, è evidente che la shrinkflation risponde alla necessità delle aziende di massimizzare i profitti, vendendo ai consumatori - perlopiù ignari - un prodotto più piccolo allo stesso prezzo. Insomma, una sorta di inganno, che ha già provocato una levata di scudi da parte di istituzioni e organizzazioni europee.

Il quadro, del resto, è chiaro: già nel 2017 l’Istituto di statistica britannico aveva suonato l’allarme sulla shrinkflation, arrivando a osservare 2.500 confezioni di prodotti ridotte per peso o quantità, mentre l’Istat, nel periodo 2012-2017, ha rilevato 7.306 casi analoghi, in 4.983 dei quali il prezzo era stato visto al rialzo.

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