Scuola, la pandemia un’occasione per migliorarla: intervista a Silvia Chimienti

Antonio Cosenza

18/04/2020

05/11/2021 - 17:39

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Uno shock come quello provocato dalla diffusione del coronavirus potrebbe essere motivo da cui ripartire per migliorare la scuola. Ne abbiamo parlato con Silvia Chimienti.

Scuola, la pandemia un’occasione per migliorarla: intervista a Silvia Chimienti

Insegnante, deputata per il Movimento 5 Stelle nella XVII Legislatura, e legata al Ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina da un “sincero rapporto di amicizia”; abbiamo contattato Silvia Chimienti, da sempre in prima linea per i temi riguardanti l’istruzione, per parlare con lei di questi giorni difficili che inevitabilmente stanno avendo ripercussioni anche sul mondo della scuola.

Buongiorno. Per cominciare una domanda a Silvia Chimienti in quanto insegnante. Le chiedo un suo bilancio in merito al primo mese di didattica a distanza. È soddisfatta del suo lavoro e, soprattutto, ritiene che sia riuscita ad arrivare allo stesso modo a tutti gli studenti?

Essendo da poco diventata mamma non ho ancora avuto modo di cimentarmi con la DAD ma ho sentito i miei colleghi, compresa la mia supplente, e so che ce la stanno mettendo tutta per far sentire la propria vicinanza agli alunni, dal punto di vista umano e relazionale prima ancora che didattico. So che anche la dirigente scolastica della mia scuola ha insistito molto su questo punto: in un momento di grande smarrimento per noi adulti, i bambini e i ragazzi hanno ancora più bisogno di empatia, comprensione e ascolto.

Lei in passato ha elogiato la scelta del Presidente del Consiglio di nominare Lucia Azzolina come Ministro dell’Istruzione. Come giudica questi suoi primi mesi di operato? Sembra che tra gli insegnanti ci sia una sorta di malcontento in merito alle ultime decisioni prese dal MIUR, sia sul fronte concorsi che per la gestione di questa emergenza…

Il MIUR è da sempre uno dei ministeri più complicati da gestire - in particolare per ciò che concerne le questioni relative al personale - e lo è ancor di più in un momento di gravissima emergenza come questo.

La ministra Azzolina, per cui nutro stima e a cui mi lega un sincero rapporto di amicizia, sta facendo tutto il possibile per superare al meglio questo momento di crisi. Conosco bene il suo impegno e la sua abnegazione e, sì, ne ho sostenuto con convinzione la nomina a ministro.

Ciò non toglie che sia pronta a manifestarle il mio dissenso qualora si trovasse a operare scelte che non condivido. Ad esempio, in occasione della discussione sulla norma riguardante il vincolo quinquennale di permanenza sullo stesso istituto scolastico per i docenti neoassunti, ebbi un confronto con Lucia e le espressi le mie perplessità.

Lei mi spiegò la ratio della norma che è assolutamente condivisibile: garantire un minimo di continuità didattica ai nostri studenti. Tuttavia, al suo posto avrei escluso dalla nuova disposizione i docenti neoassunti con il percorso FIT e avrei fatto partire il vincolo con i bandi dei futuri concorsi per evitare di cambiare le regole in corsa e creare disparità di trattamento tra docenti che hanno affrontato il medesimo percorso.

Ciò a dimostrazione del fatto che ci siamo sempre confrontate in modo proficuo e positivo, fin dalla sua elezione in Parlamento, e rarissimamente abbiamo avuto divergenze di vedute sui temi fondamentali.

Condividiamo la stessa sensibilità politica e sono certa che i recenti incidenti diplomatici con i sindacati e con gli assessori regionali siano equivoci frutto del caos e della fretta a cui ci costringe questa emergenza. Non ho ancora avuto modo di confrontarmi con lei su questo punto ma sono sicura che questi errori non si ripeteranno. Per il resto, solo chi non agisce non è oggetto di critiche. La polemica politica fa parte del vivere quotidiano di un ministro ma in questo momento ci vogliono unità, confronto e condivisione. Dobbiamo tutti fare qualche sforzo in più in questo senso: docenti, dirigenti, parti sociali e ministero.

Molti insegnanti lamentano che a causa della didattica a distanza hanno dovuto lavorare per un maggior numero di ore. Secondo lei, questo dipende da indicazioni poco chiare da parte dell’amministrazione, oppure da un’impreparazione della maggior parte del corpo docente riguardo all’utilizzo di piattaforme informatiche?

Quando si è in emergenza, è naturale che ci siano novità a cui bisogna adattarsi e la DAD è una novità assoluta per la scuola. Non condivido assolutamente le battaglie di qualche sindacato che ha ritenuto di dover impugnare il contratto per sottolineare che la DAD non rientra negli obblighi previsti per i docenti.

Mi è sembrata una forzatura inopportuna e squalificante in un momento in cui tante persone stanno mettendo a rischio la propria salute per condurre il paese fuori dall’emergenza e in cui anche il presidente Mattarella ha richiamato all’unità e alla solidarietà. In un momento in cui gli studenti hanno bisogno dei loro insegnanti.

Se è vero tutto questo, è anche vero che in molte realtà i DS hanno imposto orari rigidi e burocrazia, un numero eccessivo di riunioni e corsi di aggiornamento on line da svolgere nei pomeriggi: trascorrere troppe ore davanti agli schermi può danneggiare la salute, inficiare l’obiettivo primario della didattica a distanza e minare la serenità di docenti e alunni. Credo che la ministra dovrebbe intervenire chiaramente su questo punto, richiamando i dirigenti al buon senso e alla giusta misura.

Infine, ci sono tanti ostacoli da superare, primo tra tutti quello della connessione Internet insufficiente o inesistente, tanto rilevante e urgente quanto quello della indisponibilità di PC e tablet per la fascia economicamente più debole degli alunni.

Pensiamo al primo giorno di scuola 2020-2021. Nelle ultime ore sta prendendo piede l’ipotesi di un mix tra didattica in aula (con lezioni ridotte e doppio turno mattina/pomeriggio) e didattica a distanza. È una formula che lei, se fosse ancora in Parlamento, appoggerebbe oppure ha delle alternative in mente?

A questo proposito, ho sondato l’umore dei colleghi con un post sulla mia pagina FB.

Ho ricevuto centinaia di messaggi con suggerimenti e proposte. Molti sono perplessi sull’ipotesi di rientrare a scuola a settembre e certamente in prima istanza va tutelata la salute di alunni e personale.

Sanificare periodicamente gli ambienti, distanziare gli alunni e fornire mascherine potrebbe non essere sufficiente a evitare nuovi contagi. Come si può garantire il distanziamento durante gli intervalli, nei momenti di ingresso e uscita da scuola o nelle mense? Senza contare che con i più piccoli, nell’infanzia e nella primaria, è quasi impossibile far rispettare norme rigide di comportamento.

Forse con i ragazzi più grandi si può studiare un sistema misto di didattica in presenza e a distanza, con turni e moduli ridotti in classi che prevedano un massimo di 10-12 alunni alla volta. In questo senso, moltissimi docenti sottolineano la necessità di ridurre il numero di alunni per classi come riforma strutturale, non solo legata all’emergenza attuale.

Un grande piano di investimenti nell’edilizia scolastica e di ampliamento degli spazi a disposizione potrebbe rilanciare il paese anche a livello economico. Questa crisi dovrebbe insegnarci che scuole e ospedali sono le reali priorità per un paese, la politica deve avere il coraggio di ripartire da qui.

Sicuramente se fossi in Parlamento appoggerei tutte le misure volte a garantire la tutela della salute ma con la consapevolezza che la scuola in presenza non può essere sostituita dalla DAD e che lo sforzo massimo deve andare nella direzione di riaprire al più presto le scuole che sono un presidio di inclusione e integrazione insostituibile.
 
Il Movimento 5 Stelle si è presentato alle ultime tornate elettorali con un ambizioso programma di riforma della scuola dove si guardava ai modelli più evoluti, come quello finlandese. Eppure la situazione di emergenza che stiamo vivendo oggi ci fa vedere quanto siamo indietro rispetto ad altre realtà, visto che nella maggior parte dei casi sia le famiglie, che le scuole stesse, erano impreparate di fronte ad una realtà innovativa come quella della didattica a distanza. Secondo lei uno shock come questo, potrebbe paradossalmente esserci d’aiuto per realizzare un sistema scolastico più al passo con i tempi? E se sì, quali dovrebbero essere gli step da raggiungere?

Credo di aver in parte già risposto a questa domanda: questa è un’occasione d’oro per ripensare la scuola, per aggiornare la classe docente, per fornire strumenti materiali e dotazioni immateriali a docenti e alunni.

Il primo step è garantire l’accesso libero e gratuito alla rete, alle piattaforme e alle risorse didattiche on line. Le scuole più disagiate e periferiche, in particolare nel sud Italia, meritano un’attenzione particolare e aiuti maggiori.

I comuni, gli enti e le associazioni presenti sui territori potrebbero collaborare con le scuole, mettendo a disposizione spazi e risorse, aprendo le porte dei loro ambienti a piccoli gruppi di studenti.

In questo modo, si uscirebbe finalmente dalle mura scolastiche, si incentiverebbe una didattica aperta e diffusa, innovativa, inserita nei contesti reali dei territori di riferimento.

Anche la valutazione deve essere ripensata: le prove INVALSI vanno finalmente superate a favore di un sistema virtuoso di autovalutazione e di miglioramento, tramite la condivisione di risorse umane e strumentali tra scuole di una stessa rete e tramite la formazione di gruppi di docenti esperti di didattica digitale e di metodologie innovative in grado di formare capillarmente i colleghi.

I docenti vanno supportati e motivati a questo grande cambiamento anche attraverso un incremento economico.

Infine, è necessario porre al primo posto le esigenze degli studenti con disabilità o con bisogni educativi speciali, assumendo immediatamente tutti i docenti già specializzati sul sostegno e garantendo un rapporto uno a uno che, seppur a distanza, garantisca a ciascuno di questi alunni la presenza di un insegnante di riferimento dal primo all’ultimo giorno.

Concludo. Da anni nella scuola italiana si parla sempre dei soliti problemi: stipendi troppo bassi del personale docente, edifici in molti casi non a norma, classi con un numero elevato di studenti, alto tasso di precarietà e mancanza di dialogo con le istituzioni. Problemi di cui sentivo parlare una decina di anni fa ma che ancora oggi persistono. Qual è il motivo per cui nessun Governo (chi più o chi meno), indipendentemente dal colore politico, è riuscito ad intervenire per risolvere questi aspetti? Perché - mi corregga se sbaglio - io personalmente il sistema scolastico lo vedo fermo da diverso tempo.

La scusa è sempre la stessa: mancano le risorse. La spesa pubblica per scuola, università e ricerca, così come per la sanità, è andata sempre più diminuendo nel corso degli anni, complice la crisi economica e la necessità di far quadrare i conti.

Tuttavia, oggi è in corso un grande dibattito a livello europeo sul tema economico e, anche in questo caso, questa pandemia offre alla politica una seria opportunità di ripensamento e revisione degli accordi e dei vincoli europei.

Un paese moderno e civile ha bisogno di investire tutto ciò che serve sull’istruzione, sul patrimonio culturale, sui diritti dei lavoratori. I settori che garantiscono servizi essenziali ai cittadini non devono poter essere oggetto di tagli.

L’Italia può ripartire da scuola e sanità, da diritti e solidarietà, da ambiente e sostenibilità, da connettività e sviluppo, da beni comuni e cultura, da inclusione e integrazione. Le 5 stelle di dieci anni fa stanno tornando prepotentemente di moda. Mi auguro che questa occasione non venga sprecata e che i sacrifici che stiamo facendo ci portino a una svolta reale, concreta, visibile già nei prossimi mesi.

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