Patto di Stabilità: ecco perché torna l’austerity

Raphael Raduzzi

22 Dicembre 2023 - 14:14

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Col nuovo Patto di Stabilità l’austerità è assicurata. Ma non solo: ora c’è pure un altro vincolo alle riforme che vuole Bruxelles.

Patto di Stabilità: ecco perché torna l’austerity

Insomma, del diritto di veto sbandierato da Giorgia Meloni solo qualche giorno fa alla Camera dei deputati non si è vista l’ombra. Durante il vertice pomeridiano del consiglio Ecofin, al ministro Giorgetti non è rimasto altro che adeguarsi al solito blitz franco-tedesco, che la sera prima aveva raggiunto l’accordo sul nuovo Patto di (in)Stabilità e (de)Crescita. Secondo le cronache dei partecipanti, infatti, il nostro ministro dell’economia, che sarebbe dovuto intervenire proprio dopo Lidner (ministro tedesco) e Le Maire (ministro francese), avrebbe aspettato tutti gli altri colleghi per verificare se almeno uno avesse qualcosa da ridire. Dopo aver toccato con mano che i giochi erano ormai fatti, pare che lo sfortunato Giorgetti abbia acconsentito, in uno ‘spirito di compromesso’. Visto il periodo, verrebbe da dire che vi sia stato un errore di comunicazione tra il nostro paese ed il duo franco-tedesco.

Ironia a parte, che l’esito non sia per nulla edificante lo segnalano addirittura le parole taglienti di Elly Schlein, leader del partito che per antonomasia ha applicato con maggior vigore le regole di austerità volute dalla UE. D’altronde era la stessa Meloni a tacciare le bozze di accordo – che sembrano essere variate per alcune cose pure in peggio – come ‘irricevibili’, ‘inapplicabili’, ‘scellerate. Considerazioni amare alla luce di una riforma che appena due anni fa, quando in piena pandemia i sacri dogmi su deficit e debito parevano definitivamente archiviati, doveva nascere all’insegna di una rivoluzione delle regole di bilancio europee.

Eppure, siamo di fatto al gioco delle tre carte. Da un lato si fissano obiettivi leggermente meno assurdi, ma comunque gravosi, in termini di deficit strutturale. Si passa dal surplus di bilancio dello 0,25% previsto dalle alchemiche formule dell’attuale patto di stabilità, ad un obiettivo di deficit ‘di salvaguardia’ dell’1,5%. Anche il percorso di avvicinamento al target prefissato sembrerebbe inizialmente meno gravoso, prendendo a riferimento un indicatore di spesa strutturale depurato da spese una tantum e spese per interessi. Nel caso di un piano di rientro in 4 anni l’aggiustamento annuale richiesto sarebbe dello 0,4% (nelle bozze di inizio dicembre era 0,3%) mentre con l’estensione a 7 lo sforzo sarebbe ridotto a 0,25% (0,2% nella penultima versione).

Ma ecco qui la prima sorpresa: per poter ottenere l’allungamento del piano di rientro a 7 anni – cosa che sicuramente il nostro governo farà – bisogna vincolarsi alle solite riforme. E no, non basta il PNRR che arriverà a scadenza nel 2026. Insomma, questa riforma del Patto di Stabilità si spinge oltre all’imposizione di rigide regole fiscali, ormai detta pure come si devono spendere i soldi.

La seconda sorpresa riguarda la clausola di salvaguardia sul debito, che per gli stati con debito superiore al 90%, impone una riduzione annuale media (su 4 o 7 anni a seconda sempre della durata del piano) dell’1% dello stesso. Il che riporterebbe un vincolo abbastanza stringente anche sui deficit permessi al nostro paese: secondo l’economista Zettelmeyer, direttore del famoso think tank Bruegel, ciò implicherebbe una riduzione del deficit nominale dello 0,6% sulla media dei 7 anni. Ora sappiamo benissimo che anche in questo contesto le medie sono come i polli di Trilussa e che quindi i governi tendono a immaginare su carta salvifiche riduzioni del debito negli orizzonti temporali più ampi in modo da tirare il classico calcio al barattolo per la finanziaria dell’anno, ma in prospettiva le cose non sono affatto rosee.

Infatti, una delle novità di questo Patto di Stabilità è anche quello di rendere più immediata l’attivazione delle procedure per deficit eccessivo, sembra un ossimoro ma la stessa può essere legata al deficit o anche al debito.

E visto che questa nuova riforma entrerà veramente in vigore per la legge di bilancio del 2025, è interessante notare che l’ultima nota di aggiornamento al DEF di settembre prevedeva nel quadro programmatico un deficit nominale al 3,6%, superiore quindi all’ormai famosissimo tre percento di Maastricht: un dato che porterebbe la commissione ad aprire appunto una procedura di deficit eccessivo.

In questo caso la riforma impone degli aggiustamenti strutturali annuali, e non più su una media, di almeno lo 0,5% all’anno. Su questo punto i media vicini al governo hanno portato lustro ad una minima concessione dei paesi nordici: l’aggiustamento strutturale dello 0,5% solo per gli anni dal 2025 al 2027 potrà essere calcolato tenendo in considerazione l’aumento dei tassi di interesse sulla spesa per il debito. Magra consolazione che sposterà al massimo di qualche decimale il rientro. E soprattutto, dal 2027 in poi chi si è visto si è visto.

In sintesi, i mesi, anzi gli anni di dibattito sull’importanza di avere nuove regole davvero anticicliche sembrano essere andati alle ortiche. L’Europa dei falchi tedeschi si prende una rivincita, paradossalmente nel momento peggiore sia per la politica che per l’economia tedesca, strattonata tra recessione ed un bilancio contestato dalla Corte dei conti. Ma si sa, ai tedeschi piace far rispettare le regole, soprattutto agli altri.

E quindi proprio mentre l’Eurozona è alla soglia di una nuova recessione si ritorna nella sostanza alla cara e vecchia austerità, con un guizzo in più, le sacre riforme. Di questo passo ci si può aspettare che la prossima revisione delle regole di bilancio prevedano un ulteriore incentivo: maggiori spazi fiscali per gli stati che aboliranno le elezioni. Si scherza, forse.

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