Ecco come le grandi società di investimento finanziano la deforestazione globale

Giuseppe Montalbano

1 Ottobre 2020 - 17:56

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Un rapporto recente mostra in che modo i tre colossi della finanza sostengano le aziende maggiormente responsabili della distruzione delle foreste.

Ecco come le grandi società di investimento finanziano la deforestazione globale

La ricerca commissionata dalla ONG Friends of the Earth mette a nudo le responsabilità delle tre maggiori società di investimento statunitensi nella distruzione delle foreste e appropriazione delle terre a livello globale.

BlackRock, State Street e Vanguard sono fra i principali azionisti e finanziatori delle grandi multinazionali produttrici di beni di largo consumo che annoverano tra i fornitori aziende direttamente coinvolte in attività di deforestazione e violazione dei diritti umani.

Nonostante le promesse e le dichiarazioni pubbliche sul versante della tutela ambientale, la grande industria finanziaria e dei beni di consumo continua ad essere del tutto connivente con le società che portano avanti la distruzione della superficie boschiva del pianeta.

Il rapporto rivela, in particolare, come i tre colossi della finanza abbiano sempre fatto mancare il loro appoggio, in quanto azionisti delle multinazionali dei beni di consumo, di fronte all’adozione di standard aziendali rigidi e vincolanti in materia di salvaguardia delle foreste. Se a parole i giganti della finanza globale proclamano la loro conversione all’economia “green” e alla tutela dell’ambiente, nei fatti continuano a fare affari con i principali responsabili della scomparsa delle foreste e della degradazione degli ecosistemi naturali.

La distruzione delle foreste e l’industria globale dei beni di consumo

Il recente studio commissionato da Friends of the Earth “Doubling Down on Deforestation” mette i tre colossi della finanza statunitense sul banco degli imputati per la distruzione delle grandi foreste dell’Amazzonia e del Sud-est asiatico che procede a ritmi catastrofici. Dal 2014 al 2019 la perdita di superficie boschiva è cresciuta del 43% rispetto al 2000-2013, per un’area corrispondente a tre volte il Regno Unito, portando i livelli annuali di CO2 prodotti dagli incendi delle foreste agli stessi livelli di quelli prodotti complessivamente dall’Unione europea.

L’industria agro-alimentare è direttamente collegata alla distruzione delle foreste a livello globale. Gran parte degli incendi appiccati nel Sud del mondo sono riconducibili ad attività criminali, prevalentemente funzionali all’appropriazione di terreni per la coltivazione e all’allevamento. Produzioni illegali di cui si servono numerose aziende nelle catene globali di fornitura per i giganti dei beni di largo consumo, come Procter & Gamble, Kroger, Mondelez e Unilever. Queste ed altre società leader nel settore, riunite nel Forum dei Beni di Consumo, avevano sottoscritto nel 2010 un impegno comune per arrestare la deforestazione imputabile alle catene globali di approvvigionamento entro il 2020. Un obiettivo non solo clamorosamente mancato, ma rispetto al quale non si è registrato alcun sostanziale avanzamento da parte delle multinazionali, come registrato dal ritmo crescente della distruzione di boschi provocato dall’uomo e imputabile per la maggior parte alla filiera dell’industria agro-alimentare.

Nel solo 2019, più di 900 mila ettari di foresta amazzonica sono andati in fumo a causa degli 80 mila incendi appiccati in Brasile. Come hanno rivelato inchieste giornalistiche e denunce da parte di ONG ambientaliste, a questi incendi sono legati in vario modo gli interessi e le attività di compagnie come ADM, Bunge, Cargill e JBS, fra le fornitrici di materie prime, come l’olio di palma, la soia e gli allevamenti intensivi, per grandi marchi come Unilever, Nestlé, Pepsi, Procter & Gamble e L’Oréal. Le grandi società dell’agro-alimentare e dei beni di largo consumo continuano quindi in gran parte ad essere conniventi e a chiudere gli occhi di fronte alla provenienza criminale delle forniture di cui si servono a costi competitivi, senza mettere in campo sistemi di controllo adeguati a contrastare l’appropriazione illegale di terre.

Le responsabilità delle tre più grandi società di investimento al mondo

Fra i principali azionisti e finanziatori dei principali marchi dei beni di largo consumo e dei loro fornitori si annoverano le tre maggiori società di investimento americane, BlackRock, State Street, e Vanguard. Gli investimenti che le tre società possiedono in 121 aziende rappresentante nel Forum dei beni consumi ammontano alla cifra di 698 miliardi di dollari. Ad esempio, BlackRock all’inizio del 2019 era il terzo maggiore azionista dei giganti del settore agroalimentare ADM e Bunge, leader nel mercato della soia in Brasile, e il sesto azionista di JBS, fra le maggiori compagnie brasiliane di carne bovina. Almeno 12 aziende produttrici di olio di palma sanzionate dal governo indonesiano per legami con gli incendi che hanno devastato il Paese avevano attirato investimenti da parte dei tre grandi asset manager di Wall Street.

Attraverso le loro azioni e investimenti, i tre colossi della finanza detengono di fatto un enorme potere di influenza nei confronti delle aziende produttrici di beni di consumo e sui loro fornitori dell’agro-alimentare. Un potere che non hanno mai esercitato, avallando così di fatto le pratiche opache e gli inadeguati modelli aziendali dell’industria agro-alimentare in materia di protezione ambientale.

Nonostante gli annunciati impegni e codici di condotta aziendali, negli ultimi decenni BlackRock, State Street e Vanguard hanno ripetutamente fatto mancare il loro sostegno contro ogni iniziativa promossa dagli azionisti delle multinazionali dei beni di consumo a favore di interventi aziendali per il controllo delle catene di fornitura e a protezione delle foreste. Il rapporto di Friends of the Earth mostra nel dettaglio tutte le risoluzioni in materia di deforestazione proposte alle assemblee degli azionisti delle maggiori società di beni di consumo dal 2012 al 2019, rivelando come le tre major della finanza non le abbiano mai sostenute con il loro voto.

Astensioni e voti contrari che hanno legittimato lo status quo, esprimendo la mancanza di volontà di intervenire concretamente a tutela dei polmoni verdi del pianeta. Un tacito sostegno alle pratiche aziendali che aprono le porte alle attività criminali responsabili della deforestazione, dell’appropriazione di terre e dei conflitti sociali ad esse collegati.

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