Clima, accordo deludente dalla COP27. Mercalli: «Non c’è più tempo»

Mirko Malgieri

22/11/2022

23/12/2022 - 15:02

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Un excursus sui risultati finali della COP27, valutati anche attraverso un’intervista al climatologo e divulgatore scientifico Luca Mercalli.

Clima, accordo deludente dalla COP27. Mercalli: «Non c’è più tempo»

«Non c’è più tempo»: l’allarme nelle parole emerse dall’intervista con il climatologo Luca Mercalli è condiviso da tanti addetti ai lavori in tutto il mondo già da prima che la COP27 pubblicasse il documento finale riportante i risultati e le decisioni emerse dai tavoli di lavoro della Conferenza sul clima.

L’Unione Europea ha espresso «delusione» per la scarsa ambizione dell’accordo finale cofirmato dai 195 Paesi partecipanti al summit di Sharm-el-Sheikh.

Una delle ragioni è la poca incisività con cui è stata affrontata la questione del necessario abbandono delle attuali fonti energetiche fortemente inquinanti: si è sottolineata l’importanza della transizione energetica alle fonti rinnovabili, ma di fatto oltre alle consuete dichiarazioni d’intenti il documento non riporta nulla di concreto sulla riduzione o l’eliminazione dell’uso dei combustibili fossili.

Auspici e intenzioni non potranno restare parole su carta: «quello che fanno alla COP è burocrazia climatica: quest’anno è stata una fiera più che altro formale e istituzionale, con scarso spazio lasciato agli attivisti. Devono contare i fatti più che le parole», ha commentato Luca Mercalli nel corso della nostra intervista, sottolineando l’estrema necessità di concretezza di fronte a uno scenario sempre più drammatico. «Tutti gli indicatori sul cruscotto della Terra sono in rosso e lampeggiano. Il 2022 sarà in Italia l’anno più caldo da 270 anni, cioè da quando abbiamo iniziato a raccogliere dati strumentali. La concentrazione di CO2 nell’atmosfera terrestre è al suo livello più elevato da 3 milioni di anni: una parte si scioglie in mare, con conseguente acidificazione delle acque e minaccia di estinzione molte specie marine, il surriscaldamento e quindi fusione delle calotte polari e del permafrost, dal quale fuoriescono ulteriori gas serra in una sorta di effetto domino».

L’obiettivo di mantenere l’aumento della temperatura globale entro gli 1,5°C è stato mantenuto dall’Assemblea (cosa non scontata dal principio), ma allo stesso tempo è stato riconosciuto un gap preoccupante tra gli obiettivi climatici che i Paesi hanno dichiarato (gli Ndc, o Nationally Determined Contributions) e i risultati raggiunti. Anche se questo numero-simbolo è stato difeso, le performance che i Paesi dovranno raggiungere per rispettarlo sono molto lontane da quanto registrato fino oggi.

È stato inoltre definito uno storico accordo sul cosiddetto “Loss and Damage”, tema centrale che per giorni ha ingombrato i tavoli di lavoro della Conferenza. Una nota positiva della COP27 e considerata rivoluzionaria, visto che per la prima volta viene sdoganato il principio per cui i Paesi più ricchi hanno la responsabilità di alimentare un fondo finanziario - ancora da concordare e definire nello specifico - per risarcire le perdite e i danni causati dalla crisi climatica ai Paesi del Terzo Mondo e alle economie emergenti.

Tra i Paesi finanziatori del fondo compare naturalmente anche l’Italia: la presidente del Consiglio Giorgia Meloni durante la Conferenza ha ribadito l’impegno italiano nella gestione della crisi climatica, evidenziando investimenti per 1,4 miliardi di dollari per i prossimi cinque anni. Il tutto al netto però di una “sicurezza energetica” da garantire al Paese anche a costo di derogare i principi più virtuosi e stringenti degli accordi internazionali.

«Questo è un Governo che, almeno guardando alla sua attitudine storica, considera l’ambiente un tema marginale, poi come sempre potremo giudicare solo dopo», osserva Luca Mercalli, che poi aggiunge: «di fatto, anche i governi che, invece, sulla carta avevano l’ambiente in cima alla lista delle priorità non hanno poi fatto nulla. Perfino un governo tecnico come quello Draghi poteva prendere provvedimenti importanti come la legge contro il consumo di suolo e non lo ha fatto».

La portata degli impegni istituzionali e delle azioni politiche per la gestione della crisi climatica sono di fondamentale importanza per determinare - a cascata - anche i comportamenti collettivi delle popolazioni (ed è anche per questa ragione che sull’accordo finale della COP27 aleggia l’ombra della delusione).

Tranne che in pochissimi Paesi del mondo, secondo il climatologo e divulgatore scientifico, l’atteggiamento poco incisivo delle nazioni si riflette poi anche sulle persone che le abitano: "mancano tensione e consapevolezza rispetto a questi temi, la maggior parte delle persone non conosce i numeri che ci salveranno la vita, come ad esempio il fatto che ogni italiano produce 7.000 kg di CO2 ogni anno. Se non sappiamo da quali numeri partire come facciamo a sapere quali raggiungere? Anche i media hanno enormi responsabilità in questo: servirebbe un grande scatto di consapevolezza collettiva, gli spazi di manovra ci sarebbero. È necessaria però una forma mentis che ci spinga ad approfondire e a dare un senso a quello che si fa, al di là delle parole”.

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