Cosa c’è dietro Unicredit, Del Vecchio e l’acquisto della quota di Mediobanca

Alessandro Gregori

19/05/2021

17/05/2022 - 14:51

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Tutti si chiedono quale sia la strategia del fondatore di Luxottica e in che modo questa coinvolga il «gioiello» Generali e la stessa Uc. Ma forse semplicemente anche a Piazzetta Cuccia sta arrivando l’era in cui le azioni si contano e non si pesano.

Cosa c’è dietro Unicredit, Del Vecchio e l’acquisto della quota di Mediobanca

Il giallo è durato poco più di 24 ore: come tutti immaginavano, era Leonardo Del Vecchio il destinatario della quota del 2% di Mediobanca detenuta fino a lunedì da Fininvest e poi finita nelle mani dell’intermediario Unicredit. E mentre tutti guardano al 3% di Mediolanum come prossimo boccone, in molti si chiedono quali siano le reali intenzioni del fondatore di Luxottica e socio di Uc e Generali su Piazzetta Cuccia.

Intanto il management, a Milano come a Trieste, sembra sempre più precario.

Cosa c’è dietro Unicredit, Del Vecchio e l’acquisto della quota di Mediobanca

Di certo c’è che Del Vecchio non ha alcuna intenzione di fermarsi, visto che la Banca Centrale Europea gli ha concesso l’autorizzazione ad arrivare fino al 19,9% di Mediobanca e lui è a quota 15,4%.

Un report di Equita ieri sosteneva che la strategia di Del Vecchio non è chiara, ma vista la mole delle partecipazioni incrociate dei vari azionisti nell’intero Salotto Buono della finanza italiana non è utopistico pensare a un riassetto complessivo che coinvolga Generali e la stessa Unicredit. Del resto Mediobanca ha il 13% di Generali, il fondatore di Luxottica detiene il 5% della compagnia di assicurazione triestina mentre Caltagirone è al 5,6% ma possiede anche l’1% di Piazzetta Cuccia.

Oggi il patto di consultazione di Mediobanca, che ha preso il posto di quello «leonino», è al 10,6% ed è quindi inferiore alla sola quota di Del Vecchio. Forse sta passando di moda il detto che le azioni a volte si contano e a volte si pesano?

Di certo c’è che dalle parti dell’imprenditore si continua a parlare di «investimento finanziario» ma mentre si sentono da lontano richiami da guerra in direzione di Trieste, è impossibile non pensare che Mediobanca possa essere il grimaldello per arrivare alle Generali. Di certo lo è sempre stato. Ed è altrettanto certo che il ritorno all’utile dell’era pre-Covid abbia messo pace tra gli azionisti ma non ha in alcun modo rassicurato un management ancora sulla graticola.

Management a rischio a Milano e a Trieste

I fari a Trieste sono puntati sull’amministratore delegato Philippe Donnet e sui «mugugni», come li chiama la stampa specializzata, di Francesco Gaetano Caltagirone. E la Mediobanca guidata da Alberto Nagel all’insegna dell’autonomia manageriale di Enrico Cuccia sembra allo stesso modo sempre più a rischio. Perché basta fare una somma anche senza calcolatrice per rendersi conto che se a Trieste si mettessero assieme le quote di Del Vecchio, Caltagirone e Benetton si arriverebbe a quasi un quinto del capitale totale.

E a poco serve che la governance di Mediobanca preveda la “lista del cda” presentata dallo stesso consiglio uscente e composta dai manager e da una maggioranza di consiglieri indipendenti (e quindi gli azionisti oggi sono paradossalmente esclusi dal luogo in cui si prendono le decisioni).

Il consiglio è blindato per due anni, in teoria, e Del Vecchio ha anche dichiarato l’anno scorso di non aver intenzione di esercitare “un’influenza dominante” sulla gestione. Nella pratica, se qualcuno avesse l’intenzione di portare la stessa governance anche a Trieste è difficile che trovi il consenso di chi oggi detiene quote di capitale a Piazzetta Cuccia senza avere la possibilità di influire sulla gestione.

Nel medio periodo non è difficile immaginare che, con un riassetto bancario sempre più alle porte e una preda del calibro del Monte dei Paschi di Siena sul tavolo, il patron di Luxottica possa giocare un ruolo determinante nelle fusioni e nelle acquisizioni che si prospettano all’interno del risiko che scoppierà quando l’emergenza coronavirus sarà finita.

D’altro canto è stato lo stesso Mario Draghi a dire che le banche italiane sono troppe e che c’è bisogno di creare grandi gruppi in grado di competere con la finanza internazionale. E l’inquilino di Palazzo Chigi potrebbe presto traslocare al Quirinale. Mentre anche a Piazzetta Cuccia prima o poi le azioni cominceranno a contare e non a essere pesate.

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