Cessione del credito Superbonus e truffe, conseguenze per i professionisti

Nadia Pascale

04/09/2023

04/09/2023 - 11:46

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Continuano le pronunce della Corte di Cassazione sulle truffe Superbonus con cessione del credito. Pugno duro anche verso i professionisti che redigono certificazioni e le sottoscrivono.

Cessione del credito Superbonus e truffe, conseguenze per i professionisti

Dopo le ultime dichiarazioni del Ministro Giorgetti, basate sui dati forniti dall’Agenzia delle Entrate e relative ai costi collegati al Superbonus, non mancano polemiche tra sostenitori e detrattori del provvedimento che ha consentito a molti proprietari di ristrutturare casa, avvalendosi della cessione del credito e sconto in fattura, misure che hanno permesso di realizzare i lavori gratis e senza dover anticipare i costi.

Le polemiche sono, d’altronde, alimentate anche dalle sentenze che in questi mesi si susseguono e che fanno emergere numerosi casi di truffe per lavori non eseguiti o comunque eseguiti in maniera diversa rispetto a quanto dichiarato.

Tra i provvedimenti che stanno creando allarme tra i professionisti che hanno redatto le certificazioni dei lavori eseguiti, c’è la sentenza 34320 della Corte di Cassazione, che prevede il sequestro del cellulare a fini probatori, cioè al fine di acquisire prove del reato ed evitare che le stesse possano essere sottratte o manomesse.

Cessione del credito, conseguenze anche per i professionisti che sottoscrivono le certificazioni dei lavori

L’articolo 316 ter del codice penale punisce il reato di indebita percezione di contributi pubblici e trova particolare applicazione nella cessione del credito da Superbonus. Le sentenze in materia sono già numerose. Tra i provvedimenti emessi a margine di tale reato vi è il sequestro del cellulare del professionista incaricato della presentazione e sottoscrizione della relazione tecnica relativa a dei lavori di Superbonus.

Nella sentenza 34320 del 3 agosto 2023 della Corte di Cassazione viene confermata la legittimità di simile provvedimento.

Sequestro probatorio
Corte di Cassazione

Nel ricorso in oggetto il professionista presenta ricorso in Cassazione avverso la sentenza del TAR nella quale viene confermata come misura cautelare il sequestro probatorio dello smartphone.

Nel caso in oggetto sono in corso indagini a carico di 5 soggetti in merito a fittizi lavori di ristrutturazione edilizia «Super bonus», per la somma di 225.234 euro. Tra le misure adottate vi è appunto tale provvedimento di sequestro del cellulare del professionista incaricato della presentazione e sottoscrizione della relazione tecnica in quanto avrebbe comunque partecipato al reato. L’obiettivo del sequestro è acquisire elementi probatori attraverso tale cellulare.

La Corte di Cassazione conferma con sentenza il provvedimento cautelare adottato sottolineando la sussistenza degli elementi che fanno ritenere sufficientemente provato il delitto e la pertinenza del sequestro rispetto al reato commesso.

Il sequestro del cellulare del professionista è legittimo in caso di truffe Superbonus

Il giudice sottolinea che in sede di riesame del sequestro probatorio il suo ruolo è

verificare la sussistenza dell’astratta configurabilità del reato ipotizzato, non già nella prospettiva di un giudizio di merito sulla fondatezza dell’accusa, bensì con riferimento alla idoneità degli elementi, su cui si fonda la notizia di reato, a rendere utile l’espletamento di ulteriori indagini per acquisire prove certe o ulteriori del fatto, non altrimenti acquisibili senza la sottrazione del bene all’indagato o il trasferimento di esso nella disponibilità dell’autorità giudiziaria

Le stesse prove non sarebbero acquisibili con altri strumenti.

In tale sede, cioè riesame del sequestro probatorio, il tribunale non deve verificare la presenza dell’elemento soggettivo del reato, fatto che competerà alla sede di merito.

Sottolinea la Corte di Cassazione che il provvedimento di sequestro del cellulare del professionista non appare sproporzionato rispetto alle finalità da perseguire. Ciò in quanto l’articolo 253 del codice di procedura penale prevede come legittimo il sequestro di un sistema informatico dal quale possa emergere una documentazione inerente la condotta criminosa per cui si procede.

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