Cambio generazionale, Milano 5/10. Giuseppe Meli, GMC: “Prima l’azienda, poi la famiglia”

Sara Bracchetti

26/09/2023

27/09/2023 - 16:24

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Il business coach & trainer specializzato in imprese familiari sarà tra i relatori dell’evento organizzato da Money e Swiss Chamber il 5 ottobre a Milano.

Cambio generazionale, Milano 5/10. Giuseppe Meli, GMC: “Prima l’azienda, poi la famiglia”

Circa il 70% delle imprese con un fatturato compreso tra 20 e 50 milioni di euro ha una matrice familiare. Di queste il 25% è guidato da un leader di età superiore ai 70 anni e il 18%, quindi quasi una su cinque, sarà costretta ad affrontare il ricambio generazionale nei prossimi 5 anni.
Bastano questi numeri per comprendere quanto sia attuale il tema delle transizioni in agenda. Per approfondire il tema, Money.it e Swiss Chamber - la Camera di Commercio Svizzera in Italia - hanno organizzato a Milano un incontro dal titolo «Strumenti e opportunità per le imprese».
L’appuntamento è fissato per giovedì 5 ottobre alle ore 9.30, in Via Palestro 2 a Milano nella sede di Swiss Chamber. L’evento è gratuito e aperto al pubblico: è richiesta l’iscrizione a questo link.

Speaker di rilievo

Giuseppe Meli è tra le personalità chiamate a dare il proprio contributo alla tavola rotonda. Senior business coach & trainer specializzato in imprese familiari, Meli è il ceo di GMC Business Excellence Management. Lo abbiamo incontrato per capire meglio qual è la situazione generale che caratterizza le imprese di famiglia in Italia, in relazione al tema dell’evento
«Il benessere nasce dall’azienda: è questa da proteggere - ha esordito il consulente -. Da qui deriveranno di conseguenza agio e serenità per la famiglia».

Definire nuovi equilibri

Non è facile restare in equilibrio: specie quando vita personale e professionale si intersecano in maniera così preponderante: fino a sovrapporsi, confondersi, infine invadersi, sconfinare senza accorgersi di quella riga da tirare. Perché l’impresa familiare soprattutto, riflette Giuseppe Meli, non è un’entità a sé stante: è un sistema complesso, dove tre realtà si accostano e in parte, giustamente, si accavallano. Attenzione, però, a rispettare i limiti.
Altrimenti le cose si complicano. Ne va del benessere (familiare), della prosperità (aziendale) e, infine, della proprietà, sulla soglia del cambio generazionale, quando l’errore con cui si conviveva diventa invece fatale. «L’imprenditore ha bisogno di essere accompagnato in questo passaggio delicato», è convinto Meli, 61 anni, un passato come amministratore delegato di Bebi Point (Tombow Italia) e un presente come titolare di GMG, azienda che, nata dopo anni di studi sulle neuroscienze, la neurolinguistica, le microespressioni facciali, vuole dare supporto agli altri. Ospite all’evento del 5 ottobre a Milano organizzato da Money.it e Swiss Chamber, dedicato al cambio generazionale, Meli si lascia guidare da un principio: le persone devono restare al centro, le relazioni interpersonali sono la chiave del successo. E l’emotività un elemento che non può essere trascurato. «Lavoriamo con le difficoltà reali di persone che hanno costruito un’azienda con le loro mani e che hanno paura di veder svanire tutto ciò che hanno creato. Gente che all’epoca non aveva niente da perdere, oggi tutto. E teme che il giovane non possa essere all’altezza».

Mera presunzione o c’è un motivo e un fondamento?
Si tratta di situazioni delicate, dove al centro c’è l’equilibrio relazionale, prima ancora delle competenze. Spesso l’imprenditore non riesce a vedere il figlio, o il nipote cui voglia affidare l’impresa, in maniera diversa dal modo in cui lo vedeva quando era bambino, con il rischio di attribuire etichette che impediscono lo sviluppo del reale potenziale del successore. Questo può generare il primo “errore”.

Ce n’è un altro?
Il secondo viene dal giovane, che cerca di emulare chi lo ha preceduto. In questo modo, si guadagna, questa volta più correttamente, l’etichetta di colui che non è all’altezza. Non potrebbe esserlo: una copia non è mai al pari dell’originale. Il compito del coach è di insegnargli ad avere il coraggio di se stesso.

Ma davvero l’imprenditore italiano è disposto a lasciarsi dire come si fa? Non c’è la tendenza a considerarla una diminutio e a fare a meno?
C’è, eccome. In pochi, almeno sulle prime, si lasciano guidare. Si chiedono come mai debbano stare ad ascoltare qualcuno che spiega in maniera semplice insita in qualunque impresa familiare e le dinamiche che permettono il passaggio generazionale.

Lo sanno già?
Spesso no. Manca vera consapevolezza. Ed è importante che l’acquisiscano, prima che sia tardi.

Per gli imprenditori non è forse una questione di “esperienza sul campo”? Credono che, poiché in un’azienda ci sono stati anni, sono obbligati a conoscerla meglio di chi pretende di insegnarla dalla cattedra?
Magari fosse così. Magari la conoscessero così bene. Sarebbe bello. Il nostro punto di forza, come coach, è la semplificazione, utile affinché una famiglia comprenda il vero ruolo che deve avere all’interno dell’azienda.

Altrimenti?
Altrimenti si imbarcano in processi farraginosi in cui, appunto, dimostrano di non avere la consapevolezza che serve, di non sapere qual è il tasto giusto da schiacciare quando serve.

Come impararlo?
La conoscenza non basta. Questo è un punto chiave: l’imprenditore non solo deve conoscere, ma diventare consapevole, comprendere il significato reale e il senso di ciò che fa. Se non accade, non riuscirà mai a mettere in pratica ciò che magari conosce in teoria ma non è nelle sue corde. Deve essere accompagnato, affiancato.

Dal coach?
Esatto. Il coach affianca l’imprenditore, non dà istruzioni da eseguire. È con lui nei momenti emotivi meno facili, quelli delle decisioni importanti, della presa di coscienza delle dinamiche che esistono sia in azienda, sia in famiglia.

Eppure, si diceva poco fa, c’è una certa ritrosia a farsi affiancare. Come si intercetta l’imprenditore?
Attualmente con il passaparola. Spesso ci contatta e ci dice, letteralmente, “Mi hanno detto che siete le persone che fanno al caso mio”. Questo fa piacere, però non può essere sufficiente. Bisogna trovare il modo di aprire porte.

Cambiare mentalità?
Certo, e da parte di tutti: anche dei coach. Bisogna cambiare il modo di comunicare, trovare la maniera per parlare alle imprese familiari, che rappresentano l’80% del tessuto economico italiano e meritano di essere anzitutto protette, affinché non chiudano, successivamente sostenute, affinché si sviluppino. Sono loro, in particolare, ad avere bisogno di coach; che invece, purtroppo, si ritrovano ad avere a che fare per lo più con multinazionali o grosse imprese della consulenza.

Torniamo sempre lì: questione di resistenza?
Resistenza che, come detto prima, deriva dal non sapere. Non sanno cosa fare, non
conoscono le opportunità che avrebbero. Quando arrivano da noi, c’è un grande lavoro da fare, che sarebbe stato più lieve se cominciato prima. A volte, è addirittura quasi troppo tardi. Le relazioni tra familiari sono ormai rotte: e si sa quanto sia complesso e lungo ricostruire le relazioni. Perché, badiamo bene, un’azienda non è solo una questione di numeri, ma di relazioni interpersonali.

E quando l’azienda deve uscire dalla famiglia? Quando manca la persona giusta “in casa”?
Questo è un altro grande capitolo. Bisogna capire se in famiglia c’è un erede, inteso come persona matura e strutturata a sufficienza per guidare un’azienda. In caso contrario, il ruolo del coach è quello di portare la proprietà a comprendere che l’erede può fare l’azionista, non necessariamente l’amministratore delegato: sarebbe un danno per l’azienda e, alla fine, per l’erede stesso. Meglio integrare con un manager in grado di continuare a far crescere l’azienda.

Difficile convincere l’imprenditore?
Molto. Il coach tuttavia può dare il giusto supporto all’imprenditore affinché trovi la strada giusta, fosse anche quella di managerializzare l’impresa di famiglia. Attenzione: coach, non formatore o consulente. Il formatore è colui che insegna, il consulente che dice cosa fare. Il coach è invece colui che guida e aiuta a mettere ordine fra le idee in modo che sia la persona che ha davanti a prendere la decisione.

Come si fa?
Attraverso la maieutica, le domande, tutto ciò che possa portare a far riflettere su quale sia il bene superiore, cioè quello da proteggere.

C’è una risposta sola?
Ovviamente no. Cambia a seconda dei valori dell’imprenditore. C’è l’imprenditore illuminato, che aspira a proteggere il territorio e le persone. Il bene superiore, per lui, è restituire benessere al territorio. Altri invece puntano alla ricchezza, alla celebrità.

In quel caso il coach come si comporta?
Il coach ha il dovere di aiutare l’imprenditore a fare chiarezza e portarlo a comprendere il valore dell’importanza e della salvaguardia delle persone.

Dunque è lì che alla fine si punta. L’obiettivo è portarlo a una risposta ultima.
L’obiettivo è aiutare gli imprenditori a valorizzare il proprio know how. Se si è stati in grado di creare un’azienda e portarla avanti, significa che c’è un valore aggiunto enorme. Solo che bisogna tornare a esserne consapevoli, da un lato; dall’altro, serve aggiornare i propri talenti ai tempi moderni. Un esempio semplice: lo smart working. Il vecchio imprenditore potrebbe guardarlo con diffidenza, perché non è abituato a ragionare per obiettivi.

Poca apertura al nuovo?
Io credo che la classe manageriale debba tirare fuori i suoi talenti. Se non lo fa, è questo il primo freno allo sviluppo. Non è questione di software, di macchinari, di digitalizzazione: è questione di persone e di clima aziendale.

Qual è la prima cosa da insegnare a un imprenditore?
Anzitutto, che un’impresa familiare è formata da tre macroaree: famiglia, azienda, proprietà. L’imprenditore crede di saperlo già, ma non è davvero così. Il coach lavora anche con il suo stato emotivo, per portarlo a comprendere come queste tre realtà, che tende a confondere, si intersechino in una situazione ideale.

Ci fa un esempio pratico?
Non si può mettere a capo di un’azienda un figlio solo perché è un figlio. È un errore trascurare i suoi talenti, così com’è fondamentale considerare il clima aziendale. Né fa bene essere troppo aziendalisti, disinteressati alla proprietà e alla famiglia. Serve un equilibrio.

Perché si sbaglia?
Perché non si comprende da dove nasce il benessere. Il benessere nasce dall’azienda: è questa da proteggere. Da qui deriveranno l’agio e la serenità della famiglia. Se l’azienda prolifera, la famiglia ne guadagna, in ogni senso.

Nella tripartizione di cui parla, qual è il ruolo della famiglia?
La famiglia ha il compito di supportare e generare armonia. Altrimenti riduce la capacità di reddito aziendale. Ogni area ha dei compiti: ma solo il 10% lo sa. Quando lo dici, spesso ti senti replicare: “Chi te l’ha detto? Come fai a saperlo”? Il coach ha proprio la missione di armonizzare tutte queste informazioni.

C’è speranza?
Certo, ma c’è ancora tanto da fare. All’università è solo da qualche anno che si parla di family business. Siamo ancora indietro, ma qualcosa comincia a muoversi. Bisogna partire da questi semi per far germogliare quella consapevolezza che porta benessere nelle imprese, nella famiglia e nella proprietà e di conseguenza produce ricchezza per il territorio di riferimento dell’impresa familiare.

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I protagonisti

Swiss Chamber, Camera di Commercio Svizzera in Italia, è un’Associazione di imprese senza scopo di lucro, riconosciuta dal Governo svizzero e dal Ministero dello Sviluppo Economico italiano. Offre supporto presso istituzioni, enti, associazioni di categoria, università e una qualificata rete di imprese e professionisti per lo sviluppo di partnership economiche. Conta circa 400 Soci, tra cui i grandi gruppi svizzeri in Italia, membri dell’Advisory Board, piccole e medie imprese italiane e svizzere e i più autorevoli studi professionali internazionali.
Mazars, partnership internazionale integrata, specializzata in servizi professionali di audit, tax, legale advisory*. Opera in circa 95 paesi in tutto il mondo e conta sull’esperienza di più di 47.000 professionisti - di cui più di 30.000 nella Mazars partnership integrata - per assistere clienti di varie dimensioni in ogni fase del loro sviluppo (*Dove consentito dalle leggi vigenti del paese).
GMC è un’importante realtà consulenziale a sostegno delle aziende che, ogni giorno, si misurano con le sfide poste dal cambiamento. GMC supporta la creazione di ambienti di lavoro in cui si possa integrare il successo economico con il benessere di chi vi lavora, mettendo al centro, le Persone.
Studio Legale Integrato - E’ una società tra avvocati costituita nel 2021. E’ tra le realtà più giovani del panorama nazionale. Ha come obiettivo quello di creare una realtà che attiri ed integri le migliori professionalità nell’ambito della consulenza alle imprese. Uno studio che non si basa sui nomi dei singoli, bensì sulla forza del gruppo.
Andrea Künzi è Presidente di Künzi S.p.A con sede a Bresso (MI) e presidente e CEO di Hübeli AG con sede a St. Moritz (Svizzera).
Künzi S.p.A. sarà l’azienda che testimonierà la propria esperienza nel cambio generazionale. Parteciperà Andrea Künzi, presidente di Künzi S.p.A con sede a Bresso (MI) e presidente e CEO di Hübeli AG con sede a St. Moritz (Svizzera). La sua è la terza generazione in una azienda fondata dal nonno nel 1936, per Hübeli è la seconda generazione nell’azienda fondata dal padre nel 1977.
L’evento è sostenuto anche da CCI France Italie, la Chambre, la prima rete d’affari franco-italiana, con oltre 380 imprese francesi e italiane aderenti. Fondata a Milano nel 1885, è anche la più antica camera di commercio estera in Italia. La missione della Chambre è quella di favorire e contribuire allo sviluppo e al consolidamento delle relazioni economiche e commerciali tra la Francia e l’Italia offrendo opportunità di incontro e relazione per la comunità d’affari franco-italiana.

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