Acca Larentia, cosa significa e perché è una via simbolo per i nostalgici del fascismo

Giorgia Bonamoneta

10 Gennaio 2024 - 18:51

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L’adunata fascista del 7 gennaio ha riportato alla memoria i fatti che hanno dato origine alla commemorazione. Ma perché proprio in via Acca Larenzia (o Larentia) e cosa lega la dea al fascismo?

Acca Larentia, cosa significa e perché è una via simbolo per i nostalgici del fascismo

Quello che è accaduto in via Acca Larenzia, sarebbe potuto accadere in Germania? È quello che si domanda Paolo Berizzi, giornalista di la Repubblica che da anni si occupa di neofascismo e neonazismo. La risposta è quasi sicuramente “no”. Questo perché il nazismo viene percepito come un male da estirpare, mentre il fascismo ha ancora fascino “goliardico” e “patriottico” per molti.

Nella giornata di oggi, in occasione del Question Time alla Camera, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha parlato dei fatti relativi al 7 gennaio e alla “riproposizione di gesti e simboli che rappresentano un’epoca condannata dalla storia”. Proseguendo, il ministro ha informato delle operazioni della Digos, che ha identificato alcuni dei partecipanti. Al momento risultano denunciati cinque esponenti di Casa Pound, ai quali è contestato ildelitto di apologia del fascismo e identificati un centinaio dei presenti.

La commemorazione della “strage di Acca Larenzia”, ha detto Piantedosi, è stata sporcata dalla simbologia fascista. Eppure ogni anno accade che la destra neofascista romana commemora i fatti del 7 gennaio 1978 con i consueti “saluti”.

Cosa è accaduto in via Acca Larenzia e perché è un momento da ricordare per i (nostalgici?) fascisti?

Chi è Acca Larentia?

Acca Larentia, prima di essere una via delle strade romane, è una dea della mitologia romana. Una figura ereditata dagli etruschi, nota come prostituta e protettrice del popolo umile. Secondo la mitologia romana, la figura semidivina era la moglie del pastore che trovò Romolo e Remo, i fondatori di Roma.

In questo racconto, una versione della storia citata dallo scrittore (250-325 circa) Lattanzio, Acca Larenzia è nota come “la lupa”, termine vicino all’antico uso di lupanare, ovvero i luoghi dove lavoravano le prostitute.

Anche solo a partire dalla mitologia romana, i riferimenti al fascismo non mancano. Da questa infatti prendono nome i Figli della lupa, un’organizzazione fascista giovanile (fino agli 8 anni) all’interno dell’Opera nazionale Balilla. Questa infatti prendeva il nome dalla leggenda della lupa e il simbolo della città di Roma.

La strage di Acca Larentia: anni di piombo e lotta armata

Via Acca Larenzia (o Larentia) è stata il luogo di quella che giornalisticamente viene chiamata “strage di Acca Larentia”. Tra l’Appia nuova e la Tuscolana si trovava la sede del Movimento sociale italiano, ovvero il partito di nostalgici del regime fascista. Il 7 gennaio 1978, nel tardo pomeriggio, militanti missini sono stati raggiunti da colpi sparati da un gruppo armato.

Uno dei ragazzi, Franco Bigonzetti, morì immediatamente, tre militanti riuscirono a rientrare nella sede e a chiudere la porta, mentre un altro, ovvero Francesco Ciavatta, cercò di scappare, ma venne raggiunto e colpito alla schiena. Morì in seguito durante il trasporto verso l’ospedale.

Durante le ore seguenti la via venne invasa da militanti neofascisti, tra cui Gianfranco Fini, ovvero l’allora segretario nazionale del Fronte della gioventù (l’organizzazione giovanile del Movimento sociale italiano), poliziotti e giornalisti. Ci furono scontri tra le parti e vennero utilizzati slogan e gesti fascisti. Un altro giovane militante, Stefano Recchioni, rimase ferito durante gli scontri e morì alcuni giorni dopo.

Le responsabilità dell’omicidio dei tre giovani non sono mai state accertate. Alcuni giorni dopo i fatti del 7 gennaio una cassetta audio venne fatta ritrovare accanto un distributore di benzina. In questa i Nuclei Armati per il Contropotere Territoriale rivendicavano l’attacco di via Acca Larenzia. Alcuni nomi emersero nel 1987: Mario Scrocca, Fulvio Turrini, Cesare Cavallari, Francesco de Martiis e Daniela Dolce.

Si trattava di militanti della formazione di sinistra extraparlamentare Lotta continua. I primi quattro vennero arrestati, Daniela dolce fuggì in Nicaragua. Nel 1987 Scrocca si uccise in circostanze poco chiare, secondo la famiglia, nel carcere di Regina Coeli (Roma), mentre gli altri accusati furono assolti in primo grado per insufficienza di prove.

Da una parte la commemorazione, dall’altra l’apologia

Si sta discutendo molto della differenza tra una commemorazione legittima, ovvero il ricordo della morte di tre giovani militanti neofascisti e dall’altra l’apologia di fascismo che momenti come il 7 gennaio rendono manifesti. La strage di Acca Larenzia è una data importante per il calendario dell’estrema destra e del neofascismo e ogni anno viene ricordata.

Nel corso degli anni non sono mancati episodi violenti, come nel primo anniversario del 10 gennaio 1979, quando un agente di polizia in borghese uccise il diciassettenne Alberto Giaquinto. Nel corso degli anni il Comune di Roma ha tentato più volte di intitolare una strada o una piazza alle vittime della strage, ma senza successo; nel 2012 i militanti dell’ex sede del Movimento sociale italiano hanno sostituito la targa commemorativa modificandone la dicitura: da “vittime della violenza politica” ad “assassinati dall’odio comunista e dai servi dello Stato”. La firma “i camerati” non ha fatto altro che alimentare le polemiche e additare la commemorazione come un’occasione di apologia del fascismo. A questo si aggiunge poi il disegno della croce celtica al civico 20 di Acca Larentia, che è persino visibile da Google Maps.

Il governo di Meloni, un governo di destra vicino agli ambienti del Movimento sociale italiano (tanto che Giorgia Meloni ha partecipato alla commemorazione del 7 gennaio e all’istallazione della targa nel 2012), ha avuto difficoltà a condannare i gesti e la simbologia fascista. La commemorazione della strage è diventata a tutti gli effetti un momento di incontro per gridare “Presente!” e fare il saluto romano. Perché se da una parte c’è la commemorazione delle vittime di terrorismo, dall’altra non può esserci “l’apologia di fascismo autorizzata, tutelata e agevolata dall’istituzioni”, ha ricordato Roberto Saviano.

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