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Pensioni: 50enni andranno in pensione con metà del loro stipendio, ai giovani pochi spiccioli. La denuncia dell’Anief

giovedì 9 aprile 2015, di Vittoria Patanè

Una proiezione effettuata dall’Anief rilascia un quadro a dir poco sconfortante sul futuro dei lavoratori italiani. I cittadini di mezza età andranno in pensione con un assegno pari alla metà dell’ultimo stipendio. Ma le prospettive diventano ancora più buie per i giovani che, secondo l’associazione, avranno accesso ad un trattamento previdenziale pari ad un terzo del loro stipendio. Come faranno a vivere? Un mistero.

I dati, confermati dall’inchiesta di Progetica sui numeri dell’INPS parlano chiaro. In riferimento in particolare al comparto scuola, i calcoli dimostrano che i nati nel 1960 andranno in pensione tra il 2028 e il 2031 con un assegno pari a 850 euro. Dopo aver versato 43 anni di contributi, la loro pensione sarà pari al 54% dell’ultima busta paga.

Una tragedia per i più giovani. I nati nel 1990 andranno in pensione a 73 anni. Dopo aver lavorato per più di mezzo secolo, percepiranno 400 euro al mese, il 33% dell’ultimo stipendio.

I dati si basano sugli attuale congiuntura economica e sulla stretta sulle pensioni in corso. Se la situazione non migliorerà. l’unica soluzione possibile per sopravvivere sarà quella di aderire al Fondo di Comparto e alla pensione integrativa bancaria garantita con sgravi fiscali.

Per questi motivi, Anief valuta ricorsi in Europa per violazione della direttiva 88/2003 sull’organizzazione dell’orario di lavoro.

Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo della Confedir, commenta così:

“La fase discendente delle pensioni dei cittadini italiani ha avuto inizio a partire dal tradimento del patto generazionale, nel 2001, quando i neo assunti, a seguito d’uno scellerato accordo sindacale, si sono visti improvvisamente decurtare quasi il 30% delle vecchie liquidazione nel passaggio da TFA al TFR, dove però, non opera la trattenuta illegittima del 2,5%: una nuova ingiustizia di cui nessuno parla”.

E ancora:

“Se a questo aggiungiamo le norme sempre più stringenti sui requisiti per lasciare il servizio lavorativo, il risultato è che si lavorerà una vita per avere meno dell’assegno sociale, sempre che sia ancora liquidata la stessa. Non è possibile pensare che fino al 2011 si prendeva come pensione l’80% dell’ultima retribuzione e che dopo vent’anni, grazie alla riforma Monti-Fornero e a quelle precedenti, nel 2031 si potrebbe prendere il 26% per cento in meno (54%). E che dopo altri vent’anni, si ridurrà di un ulteriore 20%, portando l’assegno pensionistico addirittura ad un terzo dell’ultimo stipendio percepito. Siamo ormai alla macelleria sociale, con il tradimento del primo articolo della Repubblica: potremmo dire che l’Italia non sarebbe più fondata sul lavoro ma sulla schiavitù”.

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