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di Glauco Maggi

Il futuro del GOP è senza Donald Trump

Glauco Maggi

19 gennaio 2021

Il futuro del GOP è senza Donald Trump

Secondo il sito filo Democratico The Hill, Donald Trump manterrebbe la fedeltà immortale di almeno un terzo dei Repubblicani, e sarebbe di gran lunga il candidato vincente se si tenessero oggi le primarie repubblicane presidenziali, che invece avverranno solo fra 3 o 4 anni.

Ma se fosse vero che il 33% nel GOP stravede ancora per il presidente sconfitto, si tratterebbe di un tracollo verticale eccezionale rispetto al 90% e oltre dei Repubblicani che lo avevano sostenuto lo scorso novembre dandogli 74 milioni di voti. Probabilmente l’abbandono del deludente leader sta avvenendo a velocità meno repentina.

Alcuni sondaggi cominciano a registrare corposamente il calo del sostegno, come Morning Consult che ha visto per Trump una caduta di 8 punti (al 77%) dal giorno del “fattaccio”, e Axios -Ipsios che ha rilevato che e’ scesa al 65% la percentuale di approvazione del suo operato da parte dei Repubblicani. Secondo Quinnipiac University, il 17% del GOP attribuisce a Trump la diretta responsabilità dell’assedio.

I prossimi candidati del GOP nel 2022 alla Camera e al Senato saranno i primi Repubblicani a doversi confrontare con l’eredità lasciata da Trump. Secondo Jason Miller, il consigliere più stretto del presidente all’interno della Casa Bianca, i dieci deputati Repubblicani che la settimana scorsa hanno votato assieme ai Democratici a favore dell’impeachment non avranno alcuna chance di rielezione: “Tutti i membri della Camera e del Senato che hanno votato o voteranno per l’impeachment stanno con tutta probabilità’ godendo del loro ultimo mandato”, ha detto Miller, aggiungendo che Trump “è la più grande attrazione nella politica americana” e “godrà di una robusta attenzione mediatica al più presto”.

Il Futuro del GOP

Sarà, ma i fari accesi dalla stampa sul presidente uscente saranno per lui impietosi, non di sicuro assolutori. Le cronache dell’impeachment domineranno la scena, presentando ad nauseam le immagini orribili dell’assalto a Capitol Hill, che la stragrande maggioranza del paese attribuisce, correttamente, ai suoi comizi, nelle parole e nel tono.

La neoeletta Nancy Mace (Repubblicana della Sud Carolina), che aveva lavorato per la campagna di Trump del 2016, ha dichiarato che le azioni di Trump sono state tanto ripugnanti da negargli ogni futuro nella politica repubblicana. Per Mace, il GOP deve saper conservare il marchio populista dato da Trump al partito ma separandosi dal presidente. "Penso che dovremo difendere in futuro i principi e le idee che aveva sposato, ma senza il suo supporto, il suo marchio o il suo nome”, ha continuato. “Trump è macchiato. Non so come difendere in alcun modo ciò che ha fatto la scorsa settimana”. Quello che esprime la matricola del partito in uno stato in cui i Repubblicani sono forti è un messaggio netto: il tempo non lavora affatto a favore di una seria ripresa di credibilità della immagine di Trump in futuro, via via che il popolo conservatore e Repubblicano finirà con il prendere atto della realtà di un leader finito.

Il presidente, che ha buttato alle ortiche il capitale politico che aveva accumulato in quattro anni di successi politici della sua amministrazione, è stato sempre il peggiore nemico di se stesso: fuori della realtà è quindi immaginare ora che quanto durerà, e farà, lontano dalla Stanza Ovale, possa aiutarlo politicamente.

Ari Fleischer, che fu capo della comunicazione di George W. Bush e che è diventato poi commentatore di Fox News con simpatia critica per Trump durante il primo mandato, ha scritto che fu eletto come “palla da demolizione politica” nel 2016 e “lascerà la presidenza mercoledì 20 come una palla da demolizione ancora più massiccia. In mezzo, è stata una palla da demolizione che ha dato risultati. Tuttavia, il problema con le palle da demolizione è che, a meno che non siano controllate da un operatore esperto, possono oscillare all’indietro e danneggiare la persona che le controlla. Questa è una buona descrizione di ciò che Trump ha fatto durante la sua presidenza, da alcuni suoi tweet alle dichiarazioni più provocatorie, e specialmente dopo aver acceso gli animi e contribuito a ispirare la rivolta del 6 gennaio in Campidoglio. I rivoltosi hanno rovinato i successi del presidente e hanno causato danni enormi a una causa degna, soprattutto per oltre 74 milioni di americani pacifici che hanno votato per Trump”.

La violenza della folla ha choccato il paese, e chi ha colto con grande lucidità la gravità della degenerazione della sommossa è stato Daniel Pipes, presidente del Middle East Forum, un repubblicano (dal 1972) che aveva lasciato il GOP nel 2016 per protestare contro Trump, ma che nel 2020 annunciò il suo appoggio al presidente soprattutto per i suoi successi in politica estera mediorientale e verso Israele. Pipes ha scritto, su Newsweek, che “un’orda violenta repubblicana una volta era un ossimoro. Ora è una realtà”.

E’ vero. Accostare i conservatori e i Repubblicani alle masse che esercitano violenza contro avversari politici o simboli della patria e della democrazia USA è qualcosa che fa trasecolare. Basti pensare agli aderenti ai Tea Party. Nati nel 2009 per opporsi al super stimolo e alla riforma sanitaria di Obama, facevano un punto di onore di partecipare a dimostrazioni di massa a Washington, non solo pacificamente ma ripulendo alla fine le piazze e i parchi dalle lattine e dai piatti di carta dei loro sit in. Il fallimento di Trump è di non aver voluto, ed è la interpretazione benevola, aprire gli occhi davanti alla degenerazione della protesta per mano dei suoi fans, suprematisti, Proud Boys, buffoni agghindati come in un tragico carnevale della sovversione, da lui stesso eccitati.

“L’emergere delle masse violente solleva domande profonde”, scrive Pipes. “Segna un’aberrazione momentanea o un cambiamento sismico? Potrebbe dividere il partito repubblicano?” Nessuno può dirlo ora. La speranza è che si tratti di una aberrazione momentanea. Ma è una speranza che può trovare consistenza soltanto nella presa d’atto che l’ossimoro” di Pipes torni ad essere tale. E la condizione necessaria, chissà se anche sufficiente, è che l’orrore del 6 gennaio faccia chiarezza e sia un punto di svolta.

Il GOP è sempre stato il partito dell’ordine, della legge, della Costituzione. Non può sopravvivere, e non ce n’è ragione, se non estirpa le frange di ultras criminali, come aveva del resto sempre fatto finora, che si sono potute fregiare dei simboli MAGA e delle bandiere pro Trump in un giorno di vergogna. E’ il partito Democratico che può convivere, e magari prosperare, con la simpatia per i regimi comunisti espressa da tanti suoi membri autorevoli e ben noti. E con la legittimazione dei disordini e dei vandalismi, e delle dissacrazioni delle statue dei Fondatori e della stessa Storia americana. Lo ha fatto anche l’estate scorsa, e lo farà ancora. Gli elettori e i militanti del partito di Obama e di Biden non li considerano macchie invalidanti, e la stampa mainstream copre, o applaude. Contenti loro. Ma il GOP è altra cosa - law & order sono basilari - e ora è il momento di mostrarsi all’altezza.

Glauco Maggi

Giornalista dal 1978, vive a New York dal 2000 ed è l'occhio e la penna italiana in fatto di politica, finanza ed economia americana per varie testate nazionali

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