Cosa fa la Corte costituzionale?

Isabella Policarpio

11/01/2019

11/01/2019 - 13:06

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La Corte costituzionale è il principale organo preposto a proteggere la Costituzione italiana. Alla Corte sono affidati importanti compiti di garanzia dei principi e delle norme di rango costituzionale da parte delle Istituzioni.

Cosa fa la Corte costituzionale?

La Corte costituzionale è il principale organo di tutela delle disposizioni e dei valori della nostra Costituzione. In virtù del prestigio del suo compito, essa si compone di 15 membri scelti per meriti accademici, per l’esperienza nell’ambito forense e per essersi distinti nelle giurisdizioni superiori (come la Corte di Cassazione).

La Costituzione assegna alla Corte quattro importanti funzioni: vigilare sulla legittimità delle leggi dello Stato; giudicare i conflitti di attribuzione; ammettere o meno la richiesta di referendum abrogativo; esprimersi in merito alle accuse contro il Presidente della Repubblica.

Nelle prossime righe spiegheremo nel dettaglio ciascuna di queste funzioni.

Composizione

Per capire come funziona la Corte costituzionale, dobbiamo prima sapere da chi è composta. L’articolo 135 della Costituzione sancisce che essa è composta da 15 giudici, così nominati:

  • 5 dalle supreme magistrature ordinarie e amministrative (3 dalla Corte di Cassazione, 1 dal Consiglio di Stato, 1 dalla Corte dei conti);
  • 5 nominati dal Parlamento in seduta comune, a scrutinio segreto e maggioranza di ⅔ dei componenti;
  • 5 scelti dal Presidente della Repubblica tra magistrati, anche in pensione, e professori ordinari di materie giuridiche.

I giudici nominati, alla prima seduta, eleggono a scrutinio segreto il Presidente della Corte costituzionale, il quale resta in carica per 3 anni ed è rieleggibile.

I giudici della Corte costituzionale restano in carica per 9 anni e non sono rieleggibili. Questo mandato supera per lunghezza quello di tutte le altre istituzioni; la ragione è assicurare l’indipendenza della Corte dagli organi politici che li designano.

L’ufficio di giudice della Corte costituzionale è incompatibile con l’esercizio della professione di avvocato e di membro del Parlamento o di un Consiglio regionale. Finché sono in carica, tutti giudici della Corte godono di una forma di immunità analoga all’immunità parlamentare.

I giudici della Corte costituzionale non possono essere rimossi né sospesi dal loro ufficio se non con decisione della Corte stessa, per incapacità fisica o civile o per gravi mancanze nell’esercizio delle funzioni.

Funzione di controllo della legittimità costituzionale

La funzione principale della Corte costituzionale è l’esercizio del controllo sulla costituzionalità di norme approvate dalle Istituzioni in carica. Questo giudizio avviene solamente in via incidentale: significa che l’iniziativa spetta alle parti in giudizio o il giudice di merito, quando i dubbi circa il rispetto dei principi costituzionali di una norma sono tali da impedire di risolvere il caso.

Specifichiamo, il dubbio del giudice di merito deve essere fondato e non manifestamente inammissibile, altrimenti alla Corte arriverebbero un numero spropositato di ricorsi, impedendone il corretto funzionamento.

Tuttavia, il giudizio sulla legittimità costituzionale di una legge può essere promosso anche in via principale (detta anche in via d’azione) quando il governo ha dei dubbi sulla legittimità costituzionale di una determinata legge, oppure riguardo le modalità in cui è avvenuta la votazione.

Funzione di controllo sui conflitti di attribuzione

Secondo l’articolo 134 della Costituzione, la Corte costituzionale ha anche il compito di esprimersi su eventuali conflitti di attribuzione, sia tra Stato e Regioni sia tra gli organi dello Stato. Per conflitto di attribuzione si intende la situazione in cui più organismi rivendicano la stessa competenza o, nell’ipotesi opposta, negano un preciso compito.

La Costituzione italiana, infatti, regola e disciplina le funzioni e le materie di competenza delle principali istituzioni dello Stato e degli Enti regionali e, sulla base del dettato costituzionale, i giudici della Corte, quando viene sollevato il conflitto di attribuzione, decidono a chi spetta una determinata competenza e ribadiscono la divisione dei poteri dello Stato e la ripartizione della materie di competenza tra Stato e Regioni.

Il giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo

Dopo che la Corte di Cassazione si è espressa circa la legittimità del referendum abrogativo, la Corte costituzionale ha il compito di valutare se il testo referendario non sia contrario a quanto stabilito dalla Costituzione.

Se i giudici della Corte costituzionale dichiarano il referendum ammissibile, il Presidente della Repubblica è tenuto ad indirlo; invece, se la Corte si esprime in senso contrario, l’inammissibilità del referendum ha valore solo nel caso specifico. Quindi se in un secondo momento viene proposto un altro referendum abrogativo sulla medesima legge la Corte costituzionale è tenuta a pronunciarsi nuovamente.

La messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica

La Corte costituzionale ha anche il compito di giudicare la colpevolezza del Presidente della Repubblica dopo la messa in stato d’accusa da parte delle Camere. Dobbiamo precisare che il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle funzioni, ad eccezione di due ipotesi:

  • l’alto tradimento, ovvero l’intesa con Stati nemici;
  • l’attentato alla Costituzione, cioè la violazione delle norme costituzionali con il fine di sovvertire l’ordine della Costituzione.

Dunque, quando vi è il sospetto che il Presidente della Repubblica si sia macchiato di uno tra questi reati, il Parlamento può metterlo in stato di accusa, con deliberazione a maggioranza assoluta. Dopodiché sulla questione si dovrà esprimere la Corte costituzionale. Solo in questa specifica ipotesi la composizione delle Corte subisce una variazione: ai 15 membri ordinari se ne aggiungono altri 16 (persone estratte a sorte, ogni 9 anni, da un elenco di 45 cittadini aventi i requisiti per l’eleggibilità in Senato).

Nella storia italiana, tale procedura è stata compiuta solamente in due circostanze, una contro il Presidente Cossiga nel 1991, un’altra nel 2014 contro il Presidente Napolitano. In entrambi i casi la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta infondatezza delle accuse.

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