Un solo Paese al mondo potrebbe sfamare la sua popolazione in autonomia se il commercio mondiale si fermasse del tutto.
Cosa succederebbe se il commercio mondiale si fermasse improvvisamente? Se lo sono chiesti i ricercatori dell’Università di Gottinga, in Germania, e dell’Università di Edimburgo, in Scozia. Lo studio si è concentrato sulle importazioni ed esportazioni alimentari, valutando di fatto lo scenario catastrofico peggiore che si possa immaginare: lo stop completo del commercio nel settore. In parallelo, ai ricercatori è interessato andare alla radice del problema: individuare i Paesi in grado di sostenersi autonomamente. Prima ancora delle conseguenze economiche e sociali di una simile crisi, infatti, bisogna ponderare l’autosufficienza dei vari Stati. In tutto il mondo, un solo Paese sarebbe in grado di sfamare la sua popolazione in maniera completa e soddisfacente. Altri, potrebbero garantire solo parzialmente il fabbisogno alimentare dei cittadini. Nel complesso, c’è un divario sostanziale tra le varie aree del mondo e l’autoaprovvigionamento è carente per molti. Precisando che si tratta di una ricerca a scopi scientifici, cioè si tratta di scenari meramente ipotetici e utili a valutazioni più complesse, vediamo quali sono le conclusioni.
Un solo Paese sarebbe in grado di sfamare la sua popolazione
Come anticipato, secondo lo studio pubblicato su Nature Food effettuato attraverso i dati dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), un solo Paese sarebbe in grado di sfamare la sua popolazione se il commercio mondiale si fermasse improvvisamente. In particolare, sono state prese in considerazione le seguenti categorie alimentari:
- cereali, legumi e semi;
- verdure;
- frutta;
- alimenti amidacei;
- prodotti lattiero-caseari;
- carne;
- pesce.
Si tratta dei gruppi alimentari essenziali secondo la dieta “livewell” - vivi bene - del Wwf. L’unico Paese autosufficiente nell’approvvigionamento in tutte queste categorie è la Guyana, uno Stato dell’America meridionale con poco più di 800.000 abitanti. Il Guyana ha avuto a lungo un’economia basata sull’agricoltura commerciale, con un’ampia esportazione di canna da zucchero, banane, agrumi, palma da cocco e frutti tropicali. Oggi l’economia del Paese dipende dall’estrazione petrolifera, ma la pesca di crostacei e le produzioni alimentari di birra, rum, e zucchero continuano a rappresentare una componente importante. In ogni caso, le risorse e la produzione del territorio sono considerate sufficienti per sfamare gli abitanti per tutti i gruppi alimentari essenziali. Non è cosa da poco, considerando che si tratta dell’unico Paese su un totale di 186 esaminati dallo studio.
Il secondo posto della classifica non dista però molto, con la Cina e il Vietnam in grado di assicurare alla popolazione il fabbisogno alimentare in 6 categorie su 7. Per avere una visione di insieme, è bene sapere che 154 Paesi sono autonomi per un intervallo tra 2 e 5 gruppi alimentari. Soltanto un Paese su cinque, invece, riesce a provvedere autonomamente al fabbisogno di almeno 5 categorie di alimenti essenziali. In linea generale i risultati vengono definiti piuttosto preoccupanti, soprattutto per l’importante eterogeneità della situazione nel mondo.
Cosa succederebbe se il commercio mondiale si fermasse improvvisamente
Un solo Paese riesce a sfamare efficacemente la propria popolazione, ma sono ben 6 a non raggiungere il fabbisogno in nessuna delle categorie di alimenti essenziali:
- Afghanistan;
- Emirati Arabi Uniti;
- Iraq;
- Macao (Regione amministrativa speciale della Cina);
- Qatar;
- Yemen.
Inoltre, più di un terzo dei Paesi esaminati raggiunge l’autosuffficienza soltanto per due gruppi o meno: 25 Paesi in Africa, 10 nei Caraibi e 7 in Europa. Come se non bastasse, la maggior parte dei Paesi con bassa produzione locale dipende da un unico esportatore per più di metà delle importazioni nel commercio alimentare. E l’Italia? Promossa a pieni voti soltanto in 4 categorie su 7, in particolare:
- frutta;
- verdura;
- carne;
- prodotti lattiero caseari.
Le carenze più gravi nella produzione italiana riguardano il pesce, con una percentuale inferiore al 20% del fabbisogno nazionale secondo le linee guida. Come evidenziato dagli esperti, analizzare questi dati è importante per individuare le criticità dei sistemi nazionali e la capacità di rispondere alle sfide mondiali, da quelle climatiche a quelle commerciali.
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