Imposta di registro: cos’è, quando si paga e come si calcola

Nadia Pascale

14 Marzo 2024 - 09:20

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Che cos’è l’imposta di registro? Chiamata anche tassa di registro, è un tributo che si versa quando si registra un atto: ecco tutto quello che devi sapere.

Imposta di registro: cos’è, quando si paga e come si calcola

L’imposta di registro, o meglio, l’imposta sulla registrazione degli atti, può essere considerata una tassa volta a coprire i costi per la registrazione e per il tracciamento degli atti che hanno rilevanza pubblica.

Il tracciamento fa in modo che, una volta annotato l’atto con la relativa data, lo stesso non possa essere modificato, se non con la stessa procedura, sempre tracciata. Ciò comporta, ad esempio, che è sempre possibile ricostruire la storia di un immobile e avere certezza sui proprietari e su eventuali diritti vantati da altri soggetti (iscrizione dell’eventuale ipoteca su un immobile).

L’imposta di registro è disciplinata dal Dpr 131 del 1986 che regola anche le tariffe applicate ai vari atti. Deve essere annoverata tra le imposte indirette. Applicandosi a tutti gli atti che hanno una rilevanza pubblica, nell’arco della vita ognuno di noi si trova a dover versare anche più volte questo tributo.

Vediamo ora in questa disamina per quali atti si è tenuti al versamento dell’imposta di registro, come essa viene calcolata e le sanzioni applicate.

Cos’è l’imposta di registro

L’imposta di registro è dovuta a fronte dell’iscrizione di atti in pubblici registri, ad esempio, il caso più frequente è il versamento della tassa di registro a fronte della compravendita di un immobile.
Diciamo fin da subito che in alcuni casi la registrazione di un atto è richiesta ai fini della validità ed efficacia dell’atto, in altri casi si tratta di una scelta volontaria che consente però di dare certezza ai rapporti giuridici. Specifica, infatti, l’articolo 1 della legge istitutiva che si applica anche agli atti volontariamente presentati per la registrazione.

L’imposta di registro può essere fissa o commisurata al valore dell’atto e per le diverse tipologie vi sono aliquote diverse. Vedremo a breve alcuni casi.

Quando si paga l’imposta di registro

Il campo di applicazione dell’imposta di registro è definito dall’articolo 2 del Dpr 131 del 1986 in modo abbastanza generico, infatti, stabilisce che si applica ad:

  • atti indicati nella tariffa, se formati per iscritto nel territorio dello Stato;
  • ai contratti verbali indicati nell’articolo 3 comma 1 (li analizziamo a breve);
  • operazioni delle società ed enti esteri indicate nell’art. 4;
  • atti formati all’estero che comportano trasferimento della proprietà ovvero costituzione o trasferimento di altri diritti reali, anche di garanzia, su beni immobili o aziende esistenti nel territorio dello Stato e quelli che hanno per oggetto la locazione o l’affitto di tali beni.

L’articolo 3, comma 1, precisa che si applica l’imposta di registro ai contratti di locazione o di affitto di beni immobili esistenti nel territorio dello Stato, cessione risoluzioni e proroghe anche tacite degli stessi contratti.
Inoltre, sempre in base all’articolo 3, l’imposta di registro si applica agli atti di trasferimento e di affitto di aziende esistenti nel territorio dello Stato e di costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento sulle stesse e relative cessioni, risoluzioni e proroghe anche tacite.

L’articolo 4 disciplina, invece, l’imposta di registro da applicarsi agli atti societari, ad esempio l’atto di costituzione di una società, trasferimento, cessione di un ramo e in genere gli atti che nel tempo modificano gli atti societari.
Solo per semplicità elenchiamo in modo sintetico gli atti che più frequentemente sono posti in essere e che necessitano di registrazione e, quindi, richiedono il versamento dell’imposta di registro.

Ci sono atti per i quali è prevista la registrazione obbligatoria, si tratta di:

La tabella allegata all’articolo 7 indica, invece, gli atti per i quali non è richiesta la registrazione e il versamento della relativa imposta di registro, ad esempio, contratti di assicurazione, riassicurazione, rendita vitalizia ed atti collegati a questi.
Atti relativi alla costituzione di fondi comuni di investimento mobiliari autorizzati e atti di sottoscrizione, rimborso e liquidazione delle relative quote.

La registrazione volontaria è, invece, prevista dall’articolo 8, il quale sottolinea che chiunque vi abbia interesse può richiedere in qualsiasi momento la registrazione di un atto pagando i relativi diritti.
Competente alla registrazione degli atti è l’ufficio del registro nella cui circoscrizione risiede il pubblico ufficiale obbligato a richiedere la registrazione.

Chi è tenuto a richiedere la registrazione di un atto?

A elencare i soggetti tenuti a richiedere la registrazione di un atto è contenuto nell’articolo 10 del Dpr, però è bene prestare attenzione al fatto che non sempre chi è tenuto a richiedere la registrazione è il soggetto obbligato a versare l’imposta di registro, ad esempio il notaio funge da sostituto di imposta rispetto al soggetto passivo del tributo.

Vediamo ora chi è tenuto a chiedere la registrazione di un atto:

  • il contraente per le scritture private non autenticate (cioè gli atti non formati davanti a un pubblico ufficiale/notaio);
  • i notai, gli ufficiali giudiziari, i segretari o delegati della pubblica amministrazione e gli altri pubblici ufficiali per gli atti da essi redatti, ricevuti o autenticati;
  • i cancellieri e i segretari per le sentenze, i decreti e gli altri atti degli organi giurisdizionali alla cui formazione hanno partecipato nell’esercizio delle loro funzioni;
  • gli impiegati dell’amministrazione finanziaria e gli appartenenti al corpo della guardia di finanza per gli atti da registrare d’ufficio;
  • Gli agenti immobiliari (regolarmente iscritti agli albi professionali di riferimento) per le scritture private non autenticate che si sono formate in relazione alla funzione dal loro svolta.

Come si calcola la tassa di registro

Non possiamo dare per l’imposta di registro un sistema di calcolo unico, infatti vi sono diverse modalità e diverse aliquote a seconda della tipologia dell’atto. In linea di massima l’importo da versare dipende dal valore dell’atto.

Facendo un esempio molto frequente, l’imposta di registro per l’acquisto della casa varia in base al valore dell’immobile, al prezzo concordato e al fatto che il contratto di compravendita riguardi la prima casa, abitazione principale, o un immobile ulteriore.
Per il contratto di locazione, invece la differenza della base imponibile è data dalla tipologia di contratto: libero o a canone concordato, ma anche la natura del bene dato in locazione.

In particolare, in caso di acquisto della prima casa, l’imposta di registro è fissata con aliquota al 2%, questa può essere applicata su due diverse basi imponibili (a scelta del soggetto passivo): sistema prezzo-valore o in base al prezzo di acquisto dell’immobile.
Se l’immobile è acquistato da una società e quindi è soggetto a Iva, è necessario versare l’Iva al 4% e l’imposta di registro in misura fissa in 200 euro.
Le agevolazioni prima casa non si applicano per l’acquisto di un immobile di lusso.
Se l’immobile acquistato non è prima casa, l’imposta di registro prevede l’applicazione di un’aliquota al 9%.
Per il contratto di locazione l’imposta di registro prevede un’aliquota al 2% applicata al canone fissato dai contraenti, con un minimo di 67 euro. Se si preferisce il canone concordato la base imponibile è abbattuta del 30%.

Questi sono solo alcuni esempi, per ogni atto soggetto a registrazione è previsto una diversa aliquota oppure si hanno imposte di registro in misura fissa.

Scadenze e termini per il pagamento della tassa di registro

Per quanto riguarda i termini di scadenza, anche in questo caso molto dipende dalla tipologia di atto da registrare. In linea generale si occupano dell’argomento gli articoli 5 e 6 del Dpr 131 del 1986. La prima importante distinzione riguarda la registrazione:

  • in termine fisso: la registrazione va richiesta obbligatoriamente entro un determinato numero di giorni.
  • in caso d’uso: l’atto si deposita per essere acquisito presso le cancellerie giudiziarie nell’esplicazione di attività amministrative o presso le Amministrazioni dello Stato o degli enti pubblici territoriali e i rispettivi organi di controllo. Pertanto, gli atti soggetti a registrazione in caso d’uso non sono di per sé soggetti ad obbligo di registrazione, ma lo diventano laddove il contribuente debba servirsene per le finalità previste dalla legge.

In generale il termine per la registrazione dell’atto e il versamento è di 20 giorni. Nel caso di contratti di locazione o altri atti inerenti beni immobili, il termine è di 30 giorni. Per gli atti formati all’estero il termine generalmente è di 60 giorni.

Come si paga l’imposta di registro

Deve essere sottolineato che in molti casi l’imposta viene versata per conto del soggetto passivo dal sostituto di imposta, cioè il notaio o altro pubblico ufficiale.
Il pagamento dell’imposta di registro può avvenire utilizzando il modello F24, lo stesso può essere utilizzato anche per versare eventuali sanzioni in caso di ritardo.

Per i contratti di locazione ed altri atti relativi ad immobili è stata attivata una procedura di registrazione telematica, che sostituisce la presentazione diretta all’Ufficio.

Cosa succede se non si paga l’imposta di registro? Rischi e sanzioni

La prima cosa da sottolineare è che nella maggior parte dei casi omettere il versamento dell’imposta di registro è impossibile perché l’adempimento è delegato ai sostituti che lo esercitano contestualmente alla registrazione dell’atto. Se non registro l’atto di compravendita di un immobile, lo stesso non ha validità, se non verso l’imposta di registro, non posso registrare l’atto.
Sono però frequenti controlli del Fisco nei casi in cui l’importo sia calcolato sul valore del contratto/atto.

In caso di omissione di registrazione degli atti e quindi mancato versamento dell’imposta di registro, la sanzione applicata è varia dal 120% al 240% dell’imposta dovuta.

Nel caso in cui la richiesta di registrazione sia effettuata con un ritardo non superiore a 30 giorni, la sanzione amministrativa varia dal 60% al 120% delle imposte dovute, ma l’importo minimo è di 200 euro.
In caso di insufficiente versamento, oltre ad essere tenuti a versare le somme originariamente dovute, si applica una sanzione amministrative del 30% del maggiore importo dovuto.

Infine, ricordiamo che è possibile provvedere anche al ravvedimento operoso con riduzione delle sanzioni. Per conoscere tutte le riduzioni invitiamo a leggere l’approfondimento.

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