La Casa Bianca ha smentito la notizia secondo cui Donald Trump sarebbe pronto a riconoscere lo Stato palestinese. Perché ancora oggi i palestinesi non hanno un proprio Stato?
La Casa Bianca ha smentito la notizia del Jerusalem Post secondo cui Donald Trump sarebbe pronto a riconoscere lo Stato palestinese. Solo l’ipotesi è bastata per far accendere nuovamente riflettori sul Medio Oriente e sul genocidio in atto, dove migliaia di palestinesi a Gaza stanno morendo di fame perché Tel Aviv ha attaccato gli aiuti umanitari, violando - per l’ennesima volta - le leggi del diritto internazionale umanitario.
Secondo una fonte diplomatica del Golfo, il tycoon sarebbe stato pronto ad annunciare, durante un imminente viaggio nella regione, la nascita di uno Stato palestinese senza la presenza di Hamas. La notizia è stata però smentita con decisione dall’ambasciatore statunitense in Israele, Mike Huckabee, che l’ha bollata come una “sciocchezza”.
Nonostante il gelo calato tra Trump e Netanyahu — complice la guerra a Gaza, la questione iraniana e il blocco degli aiuti umanitari — la Casa Bianca non sembra orientata a un riconoscimento ufficiale. Tuttavia, il solo fatto che se ne parli riporta al centro del dibattito internazionale la questione palestinese, tra le più irrisolte e complesse del nostro tempo.
Le discussioni sull’origine del conflitto israelo-palestinese, la nascita di Hamas e le dinamiche geopolitiche che hanno ridotto la Striscia di Gaza a una minuscola porzione di terra sono sempre più frequenti. Ma chi sono davvero i palestinesi? E perché, nel corso dei decenni, hanno visto il loro territorio ridursi sempre più, fino quasi a scomparire?
La storia della Palestina è spesso avvolta da stereotipi e falsi miti. Uno dei più diffusi è che, prima della fondazione dello Stato di Israele, quella terra fosse un “deserto vuoto”. La verità è che la Palestina era tutt’altro che deserta: era abitata da una popolazione con una propria identità e cultura, e rappresentava una delle regioni più dinamiche del Mediterraneo orientale. Per chiarire alcuni punti fondamentali su questo tema, ripercorriamo brevemente — ma in modo documentato, grazie anche a fonti come “Dieci miti su Israele” dello storico Ilan Pappé — chi sono i palestinesi e qual è l’origine del loro esilio dalla propria terra.
Chi sono i palestinesi?
Per capire chi siano i palestinesi bisogna necessariamente guardare alla storia antica e al legame che questo popolo ha sempre avuto con la sua terra. La giornalista e ricercatrice Federica Stagni, esperta di movimenti sociali israeliani e palestinesi, fornisce una visione diretta e scomoda della questione.
Secondo Stagni, la colonizzazione sionista — sostenuta dalle élite occidentali — è stata alimentata da un’ideologia razzista. “I palestinesi erano e sono sacrificabili in quanto arabi, appartenenti a una razza inferiore, non degna di esprimere un’identità nazionale”, scrive. Al contrario, l’élite israeliana di origine occidentale, in particolare quella ashkenazita, è stata presentata come più “evoluta” e meritevole di sostegno da parte dell’Occidente.
Ma come si è arrivati a questa visione gerarchica dell’umanità?
Palestina: terra di nessuno (o forse no)
Per conoscere i palestinesi bisogna comprendere cos’è la Palestina, un territorio il cui nome risale al periodo romano, ma che esisteva ben prima di allora. Furono i romani a battezzarlo ufficialmente “Palestina”, e da lì in poi il suo destino si intrecciò con quello degli imperi che dominarono la regione: da Bisanzio agli ottomani.
Lo storico Ilan Pappé, ebreo israeliano e noto per la sua posizione anti-sionista, racconta in Dieci miti su Israele:
Dalla metà del 7° secolo in avanti, la storia della Palestina si unì a quella del mondo arabo e di quello islamico (a eccezione di un breve intervallo nel periodo medievale durante il quale venne ceduta ai crociati). Diverse dinastie musulmane del nord, dell’est e del sud della regione aspiravano a controllarla.
Fu però il periodo degli ottomani, che restarono nella regione per quattrocento anni, quello più rilevante.
Terra prospera, non deserto: quanti erano i palestinesi
Yonatan Mendel, docente del Dipartimento di Studi sul Medio Oriente, ha ricordato come al loro arrivo nel 1517 gli ottomani trovarono una società principalmente agricola e composta per la maggior parte da musulmani sunniti, con una ristretta élite urbana che parlava arabo. Meno del 5% della popolazione era ebreo e una percentuale che andava dal 10 al 15 era cristiana.
In altre parole: la percentuale esatta di ebrei prima dell’ascesa del sionismo si aggirava tra il 2 e il 5% della popolazione. Ancora nel 1878 nei registri ottomani risultava una popolazione totale di 462 mila residenti, di cui l’87% musulmani, 10% cristiani e il 3% ebrei.
Una storia differente: cosa dice lo Stato di Israele?
La storia però è raccontata in maniera differente dall’attuale Israele. Sul sito del ministero degli Esteri israeliano si legge che:
In seguito alla conquista ottomana del 1517 il territorio venne suddiviso in quattro distretti, assegnati al controllo amministrativo di Damasco e governati da Istanbul. All’inizio dell’era ottomana, all’incirca mille famiglie ebraiche vivevano nel paese, principalmente a Gerusalemme, Nablus (Sichem), Hebron, Gaza, Safad (Tzfat) e in alcuni villaggi della Galilea. Queste comunità erano composte dai discendenti di quegli ebrei che da sempre vivevano su quella terra insieme a immigrati provenienti dall’Europa e dal Nord Africa.
In altre parole: nel 16esimo secolo la Palestina appare abitata principalmente da ebrei.
Il ministero degli Esteri dice altro, ovvero che non c’erano foreste e che i terreni agricoli nel 18esimo secolo erano ormai deserti. Da qui il mito della Palestina come un terreno vuoto da occupare. Tale ricostruzione storica, che ha lo scopo di cancellare la casa dei palestinesi, è stata più volte contestata dagli stessi studiosi israeliani. Alcuni nomi: Amnon Cohen e Yehoshua Ben-Arieh e David Grossman (non il famoso autore, bensì il demografo). Secondo questi la Palestina non era affatto un deserto, ma una fiorente società araba, per lo più musulmana e prevalentemente rurale con alcuni vivaci centri urbani.
Pappé scrive:
Aperta al cambiamento e alla modernizzazione, la Palestina iniziò a svilupparsi come nazione molto prima dell’arrivo del movimento sionista. […] La Palestina era una parte fiorente del Bilad al-Sham (la terra dell’est), o il Levante del suo tempo. Alla vigilia dell’arrivo sionista una ricca industria agricola, piccoli centri e città storiche servivano una popolazione di mezzo milione di persone.
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Una regione fiorente e un popolo numeroso, ma allora come è stato possibile l’isolamento in una striscia di terra e altre piccole enclavi nel territorio dell’attuale Stato di Israele?
A seguito dell’accordo Sykes-Picot, firmato nel 1916 tra Gran Bretagna e Francia, le due potenze coloniali si spartirono l’area attraverso la creazione arbitraria di nuovi stati-nazione. Prima di questo nell’élite locale stava nascendo il desiderio d’indipendenza all’interno di una Siria unita (esattamente come gli Stati Uniti). A seguito della spartizione dei territori da parte occidentale però la Palestina iniziò a considerarsi uno stato arabo indipendente.
Nel 1923 vennero ridisegnati i confini e se la Palestina era meglio delineata, non lo era la popolazione. A chi apparteneva: ai nativi palestinesi o ai nuovi coloni ebrei? Presero avvio violenti scontri etnici. Fu però il 1948, post Seconda guerra mondiale e post Olocausto, che solcò la crepa ancora non chiusa sul territorio palestinese.
La “risoluzione 181”, che prevedeva la ripartizione dei territori tra ebrei e palestinesi, venne accettata dal presidente dell’Organizzazione sionista mondiale David Ben Gurion (poi primo ministro israeliano) e rifiutata dai palestinesi. Questi infatti non accettavano che il loro territorio dovesse accogliere lo Stato di Israele (56% della Palestina).
Nel corso del tempo lo spazio occupato da Israele continuò a crescere. Alla fine della guerra con gli stati arabi solidali alla causa palestinese (Egitto, Iraq, Giordania e Siria) nel 1949 Israele controllava il 72% del territorio. I palestinesi che abitavano i territori conquistati furono costretti a lasciare le case e a farsi profughi nella propria terra e fuori. In questi giorni si è tornato a utilizzare il termine con il quale è stata descritta la prima catastrofe, ovvero “nakba”.
Diverse Intifada (manifestazioni e boicottaggi repressi con la violenza dell’esercito israeliano) dopo e con alle spalle 40 anni di occupazione, Israele si ritirò dalla Striscia di Gaza. Oggi la Striscia di Gaza resta circondata via terra, mare e aria dall’esercito israeliano, che controlla anche luce, acqua e cibo da somministrare alla popolazione palestinese residente. Per questo è spesso definita una prigione a cielo aperto e per questo i palestinesi sono un popolo senza uno Stato in casa loro.
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