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USA: la vera bolla speculativa arriva dai tassi indicizzati all’inflazione
martedì 21 marzo 2017, di
Il mercato azionario USA è in forte crescita da tempo così come quello del debito. Ciò è da attribuire in buona sostanza alla politica di tassi bassi promossi dalla Fed. Una situazione che ha destato particolare entusiasmo sui mercati negli ultimi anni.
Tuttavia, come ha di recente sottolineato Deutsche Bank, alcuni indicatori fanno presumere che le politiche espansive promosse dalla Fed in questi anni stiano innescando il principio di una bolla sui titoli di Stato indicizzati all’inflazione.
Gli indicatori sono principalmente due:
- i rendimenti sui Treasures a 5 anni risultano negativi una volta aggiustati all’inflazione;
- i tassi d’interesse reali sono sotto di due punti percentuali rispetto a quanto implicito nello slancio della crescita dell’economia statunitense. Una situazione che gli analisti di Deutsche Bank ritengono "insostenibile" per l’economia, visto che la crescita dei tassi reali e del PIL reale solitamente procede alla stessa velocità.
La Deutsche Bank, infatti, crede che “i tassi d’interesse USA siano stati valutati in modo estremamente sbagliato, il che può suggerire addirittura una bolla”.
Mercato obbligazionario: il rischio viene dai rendimenti indicizzati all’inflazione
I rendimenti indicizzati all’inflazione non potranno seguire in questo modo l’economia statunitense ancora per molto, ancora secondo gli analisti della Deutsche. In questo modo vengono gettate tutte le basi per una possibile correzione che potrebbe impattare sulla propensione al rischio degli investitori sul mercato obbligazionario durante l’estate di quest’anno.
A tal proposito Bloomberg nota come i bassi redimenti reali siano in aperta antitesi con il contesto previsto dagli analisti in scia delle promesse di un aumento del deficit pubblico e della spesa delle imprese fatte da Trump - situazione in cui, solitamente, si verifica un rialzo del costo del denaro.
Il rischio latente è che si crei una situazione di stagflazione. In questo scenario, oltre alla politica di bassi tassi promossa dalla Fed negli ultimi anni gioca un ruolo fondamentale il pericolo che Trump dia adito alla sua agenda fatta di politiche di bilancio espansive e misure neo-protezionistiche che rischiano di stimolare al rialzo i prezzi interni e quindi l’inflazione. La speranza è che nel frattempo la crescita non si contragga.
Qual è la responsabilità della Fed in questo contesto?
Se la Bank of America attribuisce la responsabilità a Donald Trump, il team della Deutsche vede la Fed come diretta protagonista di questo contesto.
Il mercato obbligazionario ha prezzato l’ultima dichiarazione sostanzialmente dovish della Fed, coerente con la view per cui l’economia degli Stati Uniti si trova incastrata all’interno di una stagnazione secolare. Infatti, le prospettive di crescita economia e i tassi di interesse neutrali sono strutturalmente più bassi rispetto ai livelli pre-crisi finanziaria del 2008.
La Yellen ha dichiarato la scorsa settimana che la Fed resta fiduciosa sul fatto che nel medio-lungo termine i tassi d’interesse vadano via via alzandosi. Secondo Deutsche Bank, l’aumento effettivo dei tassi d’interesse potrebbe manifestarsi in anticipo rispetto alle previsioni della banca centrale statunitense.
Secondo Deutsche, i tassi d’interesse reali aumenteranno prima e più di quanto previsto dalla Fed. Ciò è dovuto principalmente alle pressioni connesse al rialzo dei prezzi armonizzati (dovuto a sua volta al miglioramento delle condizioni di lavoro negli USA che genererà un ulteriore aumento dell’inflazione). Per la Deutsche, il rafforzamento del mercato del lavoro stimolerà decisamente l’economia americana.
Ciò che al momento rischia di prodursi è un’incongruenza tra le prospettive della Fed e quelle della Casa Bianca. L’obiettivo dichiarato della Federal Reserve, come si diceva, è quello di controllare l’inflazione attraverso l’aumento dei tassi. Una manovra, questa, che porterà ad un apprezzamento del dollaro. Diversamente, Trump spera di sfruttare i bassi tassi di rendimento reale per contenere i rischi connessi all’apprezzamento del dollaro.
Intanto alcune delle principali banche di Wall Street, tra cui Goldman Sachs e Bank of America, hanno consigliato ai propri investitori di tenersi alla larga dalla obbligazioni pubbliche, specie quelle a "lungo termine". Gli analisti di Goldman temono infatti che le oscillazioni dei tassi d’interesse USA ledano particolarmente la stabilità del debito pubblico e per questo non ritengono al momento la sottoscrizione di obbligazioni pubbliche un investimento redditizio.
(Fonte Bloomberg)