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Grexit e pericolo default: colpa della carenza di sistema nell’Eurozona
mercoledì 17 giugno 2015, di
Le indagini statistiche nazionali e comunitarie evidenziano, sin dall’inizio di questa lunga crisi, un trend negativo dei principali indicatori macro-economici dei Paesi dell’Eurozona. Nel dibattito economico e politico non vi è concordia nell’attribuzione delle responsabilità di questa situazione che genera gravi conseguenze di carattere sociale, come nel caso della Grecia.
La crisi del debito sovrano europeo nasce proprio con la crisi greca. Sin dalla fine del 2009 si sono sviluppati, tra gli operatori finanziari, forti timori sulla reali capacità della Grecia di rispettare gli obblighi di debito, a causa della forte crescita del debito pubblico e al fenomeno sempre più dilagante della corruzione.
Ciò ha reso necessario l’intervento della troika (Fondo monetario internazionale, Commissione Europea e BCE), che con due diversi prestiti di salvataggio nel biennio 2010-2011 ha nascosto il default greco.
Ma entrambi i prestiti, così come l’attuale programma di rimborso dei debiti, sono legati all’attuazione di un duro piano di austerity che ha messo in ginocchio l’economia del Paese con pesanti tagli al bilancio pubblico.
In questo contesto si è creato il terreno fertile per l’affermazione di Syriza; il partito di Alexis Tsipras, che all’esordio alle elezioni politiche 2004 aveva ottenuto appena il 3,26 % dei voti, è oggi di gran lunga il primo partito in Grecia.
Ma la rivoluzionaria speranza iniziale del partito ha dovuto presto fare i conti con la realtà.
In attesa dei fondamentali appuntamenti di giugno, l’Eurogruppo di domani ed il vertice dei capi di Stato e di governo della UE del 25-26 giugno, appare evidente che la strategia ellenica non abbia mantenuto le attese iniziali (né dei sostenitori di Syriza né dei creditori).
Ci si interroga soprattutto sui motivi che hanno portato il negoziato partito il 20 febbraio scorso ad assumere contorni così drammatici.
In questi casi gli analisti si dividono nel valutare la responsabilità dell’Euro e, in generale, dell’architettura istituzionale comunitaria sull’attuale crisi economico-finanziaria.
Un elemento comune è la convinzione che vi sia una grave carenza di sistema.
Lo stesso Draghi ha più volte ammesso nei suoi interventi pubblici la difficoltà di definire misure di politica economica in un quadro come quello europeo, caratterizzato da molti Paesi membri e da sistemi economici diversi (soprattutto con un diverso peso del debito pubblico e del rischio di credito).
Una situazione in cui tutti i Paesi invocano interventi risolutori della BCE ma non fanno nulla per definire una politica economica comune; alcuni paesi anzi (vedi Germania) continuano a perseguire i propri interessi nazionali anche a discapito degli interessi collettivi.
La soluzione auspicata dalla prevalente dottrina economica, soprattutto anglosassone, contempla un cambiamento radicale del sistema che crei tutti i presupposti per una vera cooperazione tra gli organi della politica monetaria e quelli della politica fiscale; un’unione che operi quindi sia nei periodi di congiuntura economica favorevole sia nei periodi di crisi anche al fine di consentire una effettiva redistribuzione delle risorse dai Paesi più ricchi a quelli più in difficoltà.
Una soluzione possibile solo alla condizione, allo stato dei fatti utopistica, che si giunga ad una vera unione politica dell’Europa.